Casa Nemorense

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domenica, settembre 30, 2007

Non mi posso certo lamentare.

Questa è la tesina con la quale ho passato il lab di A.E.T.
La prima volta mi avevano bocciato, giustamente, dato che la mia analisi del testo era stata molto sommaria e senza il dizionario etimologico. Nella mia seconda versione ho lasciato la seconda parte intatta, a parte un’aggiunta che riguardava una riflessione sul riscontro e ho fatto un’analisi testuale decente. Riporterò sotto la seconda parte, tralasciando l’analisi del testo. Se qualcuno chiederà come può uno stronzo come me passare un esame scrivendo certe cose posso solo rispondere con una frase. Il mondo è ingiusto a volte. Mi dispiace.


Ritengo che le ricerche sul tirocinio siano, in questo momento, decisamente inutili per la mia formazione personale. Sono assolutamente premature per me, non ho ancora un numero sufficiente di crediti per poter accedere ai tirocinii, quindi trovo sia completamente campata per aria una ricerca personale sull’argomento. Sono comunque riuscito a trovare un senso al mio profondo fastidio nei confronti di queste proposte di ricerca sui tirocinii.
Innanzitutto, sono uno studente della Sapienza, una macchina burocratica organizzativa profondamente confusionaria e disorientante. Ho concluso che non serve a niente fare progetti sul futuro all’interno di questa struttura, dato che neanche i professori sanno cosa faranno fra tre mesi, chiaro esempio di questo fatto è la decisione della prof Battisti di farci sapere le consegne dell’esame nelle ultime settimane. Non è polemica la mia, non è la prima volta che noi studenti andiamo a scontrarci coi limiti organizzativi della facoltà e ci sono abituato ormai, è una semplice constatazione. Per questo motivo comunque, il mio cervello è fortemente ancorato al presente o, al massimo, all’immediato futuro e i miei progetti universitari non vedono oltre il mese e mezzo. E rifiuto in modo categorico (nonché, lo ammetto, in modo anche molto immaturo) di pensare a quello che farò fra almeno un anno.
Oltretutto, voi ci avete chiesto le aspettative e le fantasie che abbiamo riguardo al tirocinio e io ce le ho. Non ho fatto ricerche, ma ho sentito le esperienze di molti studenti che hanno fatto tirocinio e io non le disprezzerei queste dicerie, dato che comunque sono un’ottima fonte di informazione e un’ ottimo esempio di testo emozionato. Queste dicerie, come sempre, sono discordanti, parlano di tirocinii estremamente gratificanti, ma anche di tirocinii terribilmente alienanti, racconti che hanno confermato la mia visione del tirocinio. Vorrei infine descrivere un piccolo lapsus che ho avuto durante i piccoli gruppi. Leggendo un resoconto, ero arrivato a un passo che descriveva il tirocinio e riportava un’espressione: IN PRIMA FILA.
Leggendolo in un primo momento, io ho letto IN PRIMA LINEA.
Sul dizionario etimologico questa espressione significa “essere fra le prime cose importanti”, ma rimanda anche inevitabilmente al gergo militare . A me evoca prima linea in combattimento, guerra di trincea, soldato coscritto mandato crepare, magari pure per ordine sbagliato, carne da cannone, fante semplice sacrificabile e insignificante.
Alcuni studenti sono inizialmente euforici di “buttarsi nella mischia”, vogliono smetterla di studiare sui libri e vedere da vicino quello che ci hanno insegnato, forse si sentono pure importanti in questo modo, ma c’è un alto rischio di diventare bassa manovalanza, facendo fotocopie, facendo i servi muti dei prof, piazzati davanti a una cornetta telefonica o tante altre mansioni poco edificanti.
Questa è la fantasia sul tirocinio che mi sono fatto, una fantasia che mi scoraggia dal fare ricerche su questo tirocinio sul quali voi professori decantate le lodi in continuazione. Una fantasia sicuramente immatura e molto comoda, perché mi giustifica nel non voler fare questa benedetta ricerca sul tirocinio, impedendomi di avere quel riscontro che, forse, potrebbe sconfermare questa mia fantasia. Ma sempre una fantasia rimane e, il fatto di averla esposta, mi permette di poter annunciare tronfio che ho fatto il mio lavoro, anche se a metà per qualcuno forse.

Durante il primo riscontro di questo lavoro, mi è stato fatto notare come questo lavoro fosse ancora troppo ancorato a una dimensione adempitiva. Questo lavoro, secondo lo staff del laboratorio avrebbe dovuto essere una ricerca personale, orientata alla costruzione di una competenza dell’analisi del testo e a una posizione che mi permettesse di vedere me stesso come committente della ricerca. Il problema è che considero preziosa per la mia formazione solo la prima parte della ricerca: in quel caso sono ben disposto a vederla come un utile spunto di riflessione sulla mia funzione e competenza psicologica-clinica.
La stessa cosa non la posso dire per il lavoro sui tirocinii. Lo scopo di questa modalità di esame era offrire la possibilità di svolgere un lavoro che potesse permettermi non solo di superare l’esame, ma anche di costruire insieme allo staff – attraverso il lavoro sulle ricerche sui tirocinii – un nuovo modo per vedere la mia formazione.
E secondo me, questa costruzione non poteva avere luogo, perché, come ho già spiegato, una ricerca personale sui tirocinii, per me e in questo periodo, sarebbe improduttiva.
E’ quindi naturale che il modo in cui ho svolto la seconda parte del lavoro fosse così saldamente condizionato da una dimensione d’adempimento, lo è perché, essendo privato della dimensione di sviluppo, lo scopo di metà del lavoro veniva inevitabilmente declassato a un semplice svolgimento di un esame come tanti altri.
Oltretutto, io ritengo che sia difficile evitare una dimensione adempitiva quando ci si trova all’interno di un contesto che per alcuni aspetti la favorisce. L’università generalmente favorisce lo scambio e lo sviluppo, ma ritengo che la prassi valutativa della modalità d’esame di questo laboratorio richiami molto fortemente la dimensione dell’adempimento.
Il semplice fatto che ci sia una valutazione di idoneo-non idoneo, per me favorisce questo processo.
Idoneo, sul dizionario etimologico, viene definito come aggettivo che ha le capacità e i requisiti necessari e fin qui è coerente con il modo in cui viene definita all’interno dell’esame, perché c’è un richiamo all’acquisizione di competenze corrispondenti a certi prerequisiti, all’interno di una valutazione; appare però anche la definizione adatto, adeguato: questo significa che per essere idoneo lo studente deve adattarsi, adeguarsi agli standard imposti dal valutatore.
Adeguarsi! Significa quindi che lo studente deve adattarsi alla situazione, deve rientrare all’interno di precisi canoni per poter entrare nel gruppo degli idonei, magari assecondando le richieste di chi corregge. Dov’è la dimensione di scambio e di sviluppo?
Certo, non si può pretendere che si aboliscano i voti in un corso di laurea dato l’indubbia utilità, dato che c’è bisogno che ci siano dei criteri che permettano di distinguere chi è competente da chi non lo è. E’ un ragionamento giusto, la selezione per me è necessaria per formare psicologi competenti, ma c’è un’ulteriore discriminazione all’interno della valutazione ed è la quella che rende questa modalità d’esame fortemente guidata da una dinamica adempitiva. Chi non è idoneo, ovvero chi è inadatto, chi non ha voluto adeguarsi agli standard imposti, non solo non passa l’esame, ma gli viene addirittura impedito di partecipare all’appello successivo. E questo, oltre a essere un’ingiustizia organizzativa, è un elemento che determina ai miei occhi la presenza della logica dell’adempimento sottostante alla modalità d’esame. Impedire agli studenti bocciati di fare l’appello successivo costituisce una vera e propria “punizione” per coloro che non soddisfano le richieste per superare questo esame. In questo modo non si può più parlare di competenze-non competenze, ma dell’atavica dicotomia amico-nemico, da una parte gli studenti che rispondono ai canoni di idoneità e dall’altra gli studenti che non rispondono alle richieste e vengono puniti per la loro inadeguatezza.

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