Casa Nemorense

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venerdì, febbraio 09, 2007

Casi Clinici...


Dando per scontato che tutti sappiate cos'è il fallimeto della collusione (domanda teorica), vorrei aprire qui un dibattito sulla disccussione del caso clinico del compito del carli di giovedì.

Riassumo di seguito il caso per gli smemorati e gli assenti:

C'è sto ragazzo drogato, je piace de drogasse però per fallo fotte soldi in casa e agli amici, quindi teme che lo sgamano e l'arestano.
Quindi siccome nn vole annà ar gabbio e se caga sotto ke i genitori non ce la facciano a sopportare la vergogna della sua situazione, si rivolge allo psicologo.
Infatti gli hanno detto ke con la psicoterapia si può smettere di drogarsi, e lui sarebbe molto felice di riuscirci.

Mi pare che sia tutto... Se ho tralasciato qlcs ditemelo.. il mio cell. è quello che ha pubblicato pascucci, vi autorizzo a darlo a tutti i trans che conoscete.

60 Comments:

  • la domanda che dobbiamo porci è:
    cosa spinge dimitri a pubblicare un post del genere?
    che proposta collusiva sta portando?
    è davvero nelle peste!!

    By Blogger Renzo Carli, at 5:05 PM, febbraio 09, 2007  

  • :)
    Finalmente il carissimo amico si è creato un account...
    La cosa che mi spinge è la domanda portatami da ulcuni colleghi a conrontarsi sulla "soluzione" del compito... Domanda con la quale, poco professionalmente, colludo :)

    By Anonymous Anonimo, at 5:18 PM, febbraio 09, 2007  

  • Personalmente, la mia soluzione nel compito è stata questa:

    Benchè il fallimento della collusione sembri ancora solo una possibilità futura esistente solo nella fantasia del ragazzo, in realtà vi è probabilmente un primo fallimento della collusione cui il fatto di drogarsi è, per il ragazzo, una reazione al fallimento stesso.
    La posizione del ragazzo nei confronti dei genitori sembra indicare dinamiche neoemozionali di controllo dei genitori sul figlio e di preoccupazione del figlio verso i genitori.
    La proposta di intervento è volta ad instaurare un processo di cambiamento volto a modificare la risposta al fallimento da tipo "autodistruttivo" (drograrsi)ad un nuovo sistema relazionale di tipo costruttivo, tenendo presente il fine di rispondere alla domanda di realtà fondatrice del fallimento della collusione (emancipazione?)

    By Anonymous Anonimo, at 5:35 PM, febbraio 09, 2007  

  • Bene ragazzi, pubblicate le vostre risposte.. chi poi prende il voto più alto avrà quindi anke la miglior soluzione sul blog, e vincerà una Gricia (pagata da kekko)

    By Anonymous Anonimo, at 5:37 PM, febbraio 09, 2007  

  • PS:
    La competizione è aperta anke a ki il compito nn l'ha fatto... basta che sappia un pò di analisi della domanda... ma anche no :)

    By Anonymous Anonimo, at 5:40 PM, febbraio 09, 2007  

  • La soluzione è molto semplice. Qui lo psicologo deve ASSOLUTAMENTE cercare di non colludere con lo sfigato. Quindi evitare di farsi le pippe, almeno con lui davanti, si intende!

    By Anonymous Anonimo, at 5:51 PM, febbraio 09, 2007  

  • Apparte che le ho pensate tutte...

    Ho pensato ogni possibile collusione: anche l'intento dello psicologo di far smettere di drogare il ragazzo è una forma di collusione...

    Una neoemozione agita dal pischello drogato è senz'altro LA PROVOCAZIONE: "famme smette de drogamme nonostante stia una crema strafatto!!!"... Se lo psicologo colludesse risponderebbe: "se hai paura delle azioni per procurarti la droga cercati un lavoro così fai tanti soldini e te la compri!"...

    Lo psicologo in questo caso, trovandosi schiacciato da mille proposte collusive cade in depressione e in una crisi di pianto soffocata all'interno di sè, quello che più o meno ha preso il sottoscritto alle prese di questo caso clinico...

    Apparte tutto, era alquanto tosto l'esame... sempre che uno non scriveva un mucchietto di stronzatine banali imparate a memoria dal libro del tipo "pensare le emozioni, cercare sviluppo", bisognava trovare una soluzione abbastanza brillante...

    Staremo a vedere il 17, data in cui pubblicheranno i risultati!

    By Anonymous Anonimo, at 8:42 PM, febbraio 09, 2007  

  • Ahò il drogato ero io!...e il trans con cui m'hanno beccato era la paniccia! :D

    By Anonymous Anonimo, at 9:41 PM, febbraio 09, 2007  

  • Ragazzi, non fatevi taviare dal linguaggio con cui ho riassunto il caso, l'idea è di scrivere soluzioni PLAUSIBILI al compito, per poterci confrontare poi con i criteri di valutazione utilizzati e soprattutto con l'obiettività/creatività propria di questa benedetta analisi della domanda.

    Quindi, riscrivete grossomodo quello che avete scritto nel compito d'esame ;)

    By Anonymous Anonimo, at 2:27 AM, febbraio 10, 2007  

  • Io lo riempirei di sedativi e di barbiturici, dopodichè mi farei una pera insieme a lui, di qui una gara con tutto il branco del drogato a chi va prima in overdose. Si, penso che farei così.

    By Anonymous Anonimo, at 2:32 AM, febbraio 10, 2007  

  • oh kekko! fattene pure 2 di pere che te servono!

    By Anonymous Anonimo, at 9:35 AM, febbraio 10, 2007  

  • VIVA LA DROGA

    By Anonymous Anonimo, at 11:02 PM, febbraio 10, 2007  

  • L'iniziativa di Irtimid stavolta è lodevole, io stesso - non essendo andato all'esame - avevo provato a chiamarlo per chiedergli com'era il caso trovando però il cell spento, e devo dire che la presenza del caso stesso su internet è stata un'utilissima sorpresa, che mi ha consentito di usufruirne senza alcun esborso finanziario.

    Dunque vi invito a fare come il faggiano e a cercare di proporre effettivamente delle soluzioni o comunque delle ipotesi plausibili, perché questa può essere una delle poche occasioni che avremo per farlo.. lo dico un po' anche per avvisarvi di una caratteristica del laboratorio di analisi della domanda: a un certo punto del medesimo vengono fatti dei piccoli gruppi, molti di noi pensano che in essi si lavori su casi clinici, che si impari come affrontarli.. tutte balle! stai lì 10 incontri a dire "chi siamo noi? perché siamo qui?", senza alcuna ipotesi di sviluppo, con l'unico obiettivo di introdurre dubbi iperuranici e crisi esistenziali, una roba neoemozionalissima priva di risposta alla domanda di realtà... insomma, per dirla breve una grossa truffa!
    Per non parlare di spsonline: sito dove l'ultimo caso riportato risale a gennaio 2005, alla faccia del farsi bello sul libro "casi clinici" scrivendo "sul sito vengono via via riportati i casi d'esame con le soluzioni in modo che gli studenti possano discuterli"... vergognati renzo!

    Quindi approfittiamo di qualsiasi occasione per cimentarci su casi clinici.. A cominciare da questa!

    APPROFITTO E VENGO AL CASO CLINICO. Nella fattispecie credo che la domanda che dobbiamo porci sia: in quale agito ci sta trascinando il tossico? Già, perché qualsiasi ipotesi proporremo, lo faremo entro una relazione. Se non capiamo quella, se non comprendiamo la dinamica del qui e ora, non potremo neanche intervenire sul livello del la e allora, nel quale si situerebbe il fallimento collusivo (reale o temuto, passato o futuro) che ha motivato il nostro amico a rivolgersi a noi.
    Alle volte, un elemento del "qui e ora" ci permette di capire il "là e allora"; altre volte accade di seguire il procedimento inverso.
    Prendo a prestito l'ipotesi di Irtimid del fallimento collusivo futuro, con la quale colludo perché mi sembra chiaramente aderente al testo del resoconto. Se impostiamo così l'approccio al caso clinico, se ipotizziamo che il nostro cliente ci racconti il suo andare verso un fallimento collusivo, stando alla sua attuale modalità.. perché non supporre che ci agisca anche tutto ciò? Vale a dire, perché non supporre che, con l'attuale modalità di impostare il rapporto, si sia anche noi (psicologo e cliente) invischiati a nostra volta in un "andare verso un fallimento collusivo"?
    E se ad esempio lo psicologo venisse vissuto come una sorta di droga? E' un'ipotesi, fondata dal punto di vista etologico sul reiterarsi della fuga: ci si droga, certo, per trasgredire e quindi per emanciparsi; ma anche per fuggire dal confronto con la realtà, per avere uno spazio tutto proprio, non reale, fantastico, dove tutto può accadere, senza dover utilizzare le proprie competenze per affrontare l'"estraneo". Questo è un agito, difficile a interrompersi, che caratterizza la tossicodipendenza. Un'ipotesi plausibile è che anche la relazione con lo psicologo sia vissuta così: uno spazio sostitutivo della realtà ("mi hanno detto che la psicoterapia fa smettere di drogarsi" = "la psicoterapia mi allontana dal problema della droga" un po' come "la droga mi allontana dai problemi della realtà" e allora siamo nel "chiodo scaccia chiodo"), dove fuggire dalle problematiche temute (di fatto, rafforzandole). Un'ipotesi coerente con la modalità contraddittoria, autolesionista, autosmarcante (un po' come Irtimid a calcetto, quando con un piede porta avanti la palla e con l'altro si contrasta e se la toglie) con cui il cliente si rivolge a noi: dice "sarei felice di smettere di drogarmi" ma anche "sono felice di drogarmi, mi piace".. che di fatto manifesta un serio handicap in vista dell'"uscita dal tunnel". Il drogarsi non è avvertito come problema, ma come qualcosa di ben accetto, dunque difficilmente spodestabile; il problema è collocato esclusivamente nella vergogna dei suoi cari, nei risvolti comportamentali della droga, nella paura del carcere. Insomma, non c'è motivazione intrinseca a "smettere". C'è quindi una scissione tra ciò che si vorrebbe raggiungere e ciò che si propone come risorse e limiti. Se non è ancora chiaro, il cliente pone una domanda impossibile e cerca di trascinarci nella sua impotenza e nella dinamica della fuga. Di conseguenza, ritengo che NON SI POSSA ACCETTARE UNA DOMANDA CHE PREVEDA QUALE OBIETTIVO LO SMETTERSI DI DROGARSI; di contro, potremo considerare il problema "droga" quale pretesto per un incremento della funzione di categorizzazione del reale: contenere quanto agito, manifestare l'emozione di impotenza di fronte alla strada che si vuole imboccare, e quindi proporre un vincolo di realtà; verificare quanto il cliente sia disposto ad accettare il fallimento della fuga (andare dal terapeuta può essere visto quale ripetersi dell'agito scomposto di fuga anestetizzante) e il confronto con questo primo elemento di realtà; sulla base della comprensione mostrata (io, psicologo, capisco l'emozione di impotenza nella quale probabilmente ti trovi anche tu, e ti permetto di rispecchiarti in essa) è possibile costruire un'allenza terapeutica, che - per dirla con grasso - è un fattore prognostico del cambiamento; il cambiamento può allora orientarsi in una direzione diversa da quella prospettata dal cliente (e ben venga, dato che è un cliente che ha già dimostrato di scegliere soluzioni distruttive e fallimentari!), può passare per una contestualizzazione di quanto ci ha raccontato entro dimensioni relazionali diverse, e quindi può sfociare in un pensiero sul duplice e conflittuale obbligo cui è sottoposto: da una parte, mantenere una situazione accettabile nel contesto familiare; dall'altra, emanciparsi e trasgredire, come richiesto dal contesto dei "giovani adulti". La preoccupazione stessa per la "vergogna", che sappiamo essere relativa sempre a una distanza tra immagine e realtà, ci rimanda ancora alla scissione che attraversa l'intero caso: tra risorse e obiettivi, tra intenti manifesti e latenti, tra contesto familiare e contesto amicale, tra desideri personali, "interni" e motivazioni e preoccupazioni "esterne", tra desiderio di relazioni positive con cari e società ("non creando troppi problemi") e senso di appartenenza, invece, ad un contesto con regole ben diverse come quello della banda dei tossici ("mi drogo e mi piace quello che faccio"). Partendo da questa chiave di lettura, è possibile affrontare via via una serie di temi. Tra questi, recapitolando: rispondere alla domanda d'emancipazione in modo costruttivo anziché distruttivo; rispondere alle esigenze di rapporto con i propri cari instaurando modalità più costruttive, piuttosto che "evitando di farli preoccupare"; rispondere alle esigenze di essere "dentro" la società attraverso forme di integrazione in essa, più che scongiurando il timore di essere messo "fuori", al gabbio. Tutti cambiamenti che passano attraverso l'acquisizione di competenze difficilmente scindibili dalla comprensione emozionale e relazionale del contesto in cui si è implicati: è qui che lo psicologo potrà dire la sua.

    By Anonymous Anonimo, at 2:53 AM, febbraio 11, 2007  

  • sorry, stavo fòri: fattore (FATTONE!) prognostico del cambiamento non vuol dire nulla.. l'alleanza terapeutica è un fattore prognostico e basta! favorisce la conoscenza del "paziente" e delle dinamiche che lo concernono, la possibilità di esplorare con lui quello che c'è da esplorare, il tutto sulla base di un senso di fiducia.

    adiòs

    By Anonymous Anonimo, at 8:46 AM, febbraio 11, 2007  

  • Il drogato agisce la neoemozione della pretesa con la quale, in nome del suo status di tossico, siccome ha sentito che si guarisce dalla dipendenza con la terapia, pretende di assumere un posizione di delega nella quale lo psicologo lo deve "curare" senza che lui offra nessun contributo.

    Il caso è identico a un caso che il pelato ha presentato in classe e io ho proposto la stessa sua soluzione aggiungendo dei punti senza i quali la sua proposta non era, secondo me valida.
    Carli ha detto che il drogato è preso dall'agito di drogarsi e fottere i soldi per la droga, un agito troppo violento perchè possa pensare sulle causa che lo hanno portato a drogarsi. Deve quindi smettere di drogarsi per far cessare quest'agito. E qui Carli aveva chiuso senza aggiungere altro.

    Una spiegazione simile è una merda perchè lo psicologo ci fa la figura dello stronzo e il paziente lo manda affanculo e si fa una pera per dimenticarlo. E qui ho aggiunto la parte mia. Lo psicologo deve in qualche modo conquistarsi la fiducia del tossico.
    Come?
    L'agito del drogarsi è un agito estremamente violento, talmente potente dall'aver portato il tizio a passare tutta la seduta a parlare delle sue pippate e furti.
    Solo una cosa era trapelata che non riguardasse direttamente la droga: il timore di venir beccato e la reazione dei genitori.
    Lo psicologo deve far leva su quest'indizio, la reazione dei genitori, l'unico elemento utile alla terapia che è emerso durante la seduta. Il messaggio deve essere "hai visto brutto pezzo di impasticcato?! Anche se eri tutto preso dal farmi due palle così sulle strisce che ti spari, io, che sono uno psicologo con le palle, in quel mare di puttanate agite che mi hai raccontato, sono riuscito a trovare qualcosa di utile!".
    (Lo psicologo deve dire queste precise parole durante la seduta, scandendo le sillabe e chiedendogli scusa se ha utilizzato un termine tecnico come "agito").

    Solo quando avrà smesso di drogarsi il paziente sarà in grado di pensare sulla sua dipendenza, lavorando insieme allo psicologo sui punti che potrebbero averlo spinto a iniziare, elaborando la sua relazione coi genitori e altri fattori che potrebbero averlo spinto a drogarsi. Naturalmente, resta sempre la possibilità che il drogato lo mandi affanculo e non si faccia più sentire...

    By Blogger Edric Ant, at 2:50 PM, febbraio 11, 2007  

  • ah...si..già, i casi online...in effetti un pò me ne vergogno!!

    By Blogger Renzo Carli, at 4:07 PM, febbraio 11, 2007  

  • Io non c'ero a quella lezione in cui Carli ha esposto un caso simile al questo. Se è vero, come è vero, che ha detto ke il drogato deve prima smettere di drogarsi e poi "riflettere" sulle cause della sua dipendeza, allora occorre che io agisca qualche emozione. A occhio mi sembra solo una provocazione, in perfetto stile carliano, volta a enfatizzare l'imprescindibilità del distacco emozionale da parte dello psicologo, cioè come a dire non c'erano le condizioni per non colludere con il cliente. Se fosse così allora ci sono alcune riflessioni da fare. La prima è questa: non dovrebbe essere la teoria ad adeguarsi alla realtà e non viceversa?
    Cioè è giusto dire che visto che secondo la mia teoria (analisi della domanda) un caso del genere non saprei come affrontarlo, perchè non rientra nei "canoni ideali", allora invece di elasticizzare la teoria in modo da contemplare casi limite come questi, la irrigidisco e la rifiuto aprioristicamente?

    By Anonymous Anonimo, at 4:56 PM, febbraio 11, 2007  

  • io non ho detto ke il drogato deve prima smettere di drogarsi e poi "riflettere" sulle cause della sua dipendeza, ho detto soltanto al drogato (e, permettetemi di sottolineare, drogante) "prima smetti di drogarti, poi vieni da me e ne parliamo"..

    By Blogger Renzo Carli, at 6:48 PM, febbraio 11, 2007  

  • a rigà nussuno di voi ha la minima idea di che vor di 'drogarsi'... e sembrerebbe che neppure carli ce l'abbia.come si può chiedere di smettere di drogarsi prima di andare in terapia.
    se si riuscisse a farne a meno autonomamente,allora a che serve andare dallo psicologo?
    il discorso della droga è estremamente profondo attenzione a banalizzarlo

    By Anonymous Anonimo, at 6:57 PM, febbraio 11, 2007  

  • non sono d'accordo con alcuni punti del resoconto di tancredi:
    1- in primo luogo propone una "tecnica per conquistarsi la fiducia del paziente", ma questa tecnica sembra dedotta dall'esperienza quotidiana più che da una teoria psicologica e questo mi sembra un errore grave. infatti come psicologi non abbiamo diritto di usare tecniche che crediamo funzionino con i clienti, e questo per una questione di etica e responsabilità.
    2- parla di un elemento "utile alla terapia su cui far leva con il paziente", il punto è che qui non si parla affatto di terapia e questo secondo me avvalora l'ipotesi-ormai da noi studenti fin troppo nota- che ci sia la tendenza ad assimilare la psicologia clinica con la psicoterapia (probabilmente perchè ancora nessuno ha ben capito che cazzo di differenza c è)..
    inoltre tancredi parla di "far leva" ed anche qui pare che far leva puntando su un qualche argomanto molto sentito dal cliente sia una tecnica da usare durante il colloquio (addirittura durante il primo colloquio)..ma far leva per ottenere cosa? per ottenere la fiducia del paziente!!(e qui si intravede il meccanismo della tecnica per conquistare fiducia)
    3- si fa cenno agli "elementi che potrebbero averlo spinto a drogarsi" e così dicendo si rivela una teoria implicita di tipo deterministico, come dire che le cause x, y oz possono SPINGERE una persona a drogarsi!
    io personalmente non ho niente contro tancredi (giuro pascucci!!)
    ho solo preso il suo resoconto come riferimento per un pensiero critico nei confronti della formazione che ci viene proposta in facoltà, una proposta piena di lacune!! lacune che siamo portati a colmare con conoscenze personali spesso ingenue che si rifanno al buon senso comune!!
    inoltre stiamo li a studiare e studiare (quasi tutti per lo meno) ma nessuno mai ci dice come si potrebbe affrontare PRATICAMENTE un caso clinico, ma nonostante questo ci dicono che per avere un voto che vada dal 26 al 30 bisogna proporre nello svolgimento del compito una direzione di intervento....mah!!!

    By Anonymous Anonimo, at 7:16 PM, febbraio 11, 2007  

  • Per Antonello.
    1)Il confine fra teorie psicologiche e ingenue è, purtroppo, molto sottile, devi fartene una ragione.
    2)E' vero che non si può ridurre la psicologia alla sola psicoterapia, ma il caso mostrava una richiesta di psicoterapia fatta in un contesto psicoterapeutico e mi è sembrato lecito parlare di psicoterapia.
    3)Trattandosi del primo colloquio, è troppo presto per azzardare ipotesi sulle possibili cause che hanno portato il tizio a drogarsi e se mai tornerà dallo psicologo in questione, la terapia potrebbe prendere una strada completamente diversa da quella di individuare le cause che l'hanno fatto diventare un tossico...l'unica cosa che si può fare è constatare la sua impossibilità di pensare sul suo disagio e conquistare la sua fiducia. Perchè?
    Perchè se il cliente ha fiducia nello psicologo riterrà utile continuare le sedute e la possibilità di riprendere le sedute potrebbe essere lo stimolo che lo convince a smettere di drogarsi.

    By Blogger Edric Ant, at 10:22 PM, febbraio 11, 2007  

  • a tancrè:
    1) devo farmene una ragione? forse dovresti puntare ad una conoscenza migliore tu (e soprattutto ad una migliore competenza), che ne dici?

    2) il caso mostrava una richiesta di psicoterapia (con cui hai colluso senza accorgertene)..ma specificava che l'operatore fosse uno psicoterapeuta? o diceva semplicemente "psicologo"? questa è una differenza importante!! noi ci stiamo formando per essere psicologi clinici, non psicoterapeuti. Comunque, dire che ti è sembrato lecito parlare di psicoterapia secondo me significa proprio che hai accettato la proposta collusiva invece di analizzare la domanda (caratterizzata dal fatto che vi fosse una richiesta esplicita di terapia) come ti viene richiesto dalla modalità d'esame...l'esame è infatti "analisi della domanda" non "cosa faremmo se fossimo psicoterapeuti"(del resto non avremmo nè le conoscenze nè le competenze per affrontare una situazione del genere). Questa mia ipotesi credo sia suffragata anche dal fatto che nel terzo punto dici "se mai tornerà dallo psicologo in questione, la TERAPIA potrebbe prendere una strada completamente diversa da...ecc.." ovvero rinforzi l'opinione che di terapia si tratta.

    3) presupponi che ci siano delle CAUSE che L'HANNO FATTO DIVENTARE un tossico..e qui è evidente anche un ulteriore presupposto (ancor più subdolo) cioè che lui non abbia avuto voce in capitolo in questo processo che LO HA RESO TOSSICO. questo è chiaramente il riflesso di un ottica deterministica.

    Detto questo ribadisco che il mio non era un attacco contro di te:
    il post è stato pubblicato per confrontare le nostre opinioni, non è questione di ragione o torto, ma di dire la propria, tutto qui. Dalle tue parole invece pare che te la sia presa(coda di paglia?): non mi pare il caso.

    By Anonymous Anonimo, at 12:54 AM, febbraio 12, 2007  

  • Richiamo per pascucci:
    SEI TU NON HAI CAPITO UN CAZZO.

    By Anonymous Anonimo, at 1:08 AM, febbraio 12, 2007  

  • L'altro giorno ho incontrato pascucci, gli ho detto che è un coglione

    By Anonymous Anonimo, at 1:10 AM, febbraio 12, 2007  

  • Dov'è tancredi? se lo prendo lo ammazzo quel bastardo!

    By Anonymous Anonimo, at 1:10 AM, febbraio 12, 2007  

  • ma cosa avete contro la visione detrministica? ormai date per scontato che non sussista?
    Cambiate idea o vi lancio una mela dove la sentite meglio! ( a pascucci in faccia) ahahah

    By Anonymous Anonimo, at 1:16 AM, febbraio 12, 2007  

  • Mi sembra di capire che dietro Renzo Carli, nonchè il caro Isacco si celi la stessa persona che conosciamo..o mi sbaglio??
    Mi ha un pò rotto i coglioni sta storia che ho ognuno selezionando altro può firmarsi come vuole...tanto che per dimpostrare la debolezza di questo sistema ho firmato un messaggio "irtimid" dicendo che lui per l'appunto si fosse comprato una bambola. Non è vero. O almeno non ancora :D.
    Propongo di loggarsi prima di postare...

    By Blogger Framomo86, at 1:51 AM, febbraio 12, 2007  

  • Mi sembra di capire che dietro Renzo Carli, nonchè il caro Isacco si celi la stessa persona che conosciamo..o mi sbaglio??
    Mi ha un pò rotto i coglioni sta storia che ho ognuno selezionando altro può firmarsi come vuole...tanto che per dimpostrare la debolezza di questo sistema ho firmato un messaggio "irtimid" dicendo che lui per l'appunto si fosse comprato una bambola. Non è vero. O almeno non ancora :D.
    Propongo di loggarsi prima di postare...

    By Blogger Framomo86, at 1:51 AM, febbraio 12, 2007  

  • Mi sembra di capire che dietro Renzo Carli, nonchè il caro Isacco si celi la stessa persona che conosciamo..o mi sbaglio??
    Mi ha un pò rotto i coglioni sta storia che ho ognuno selezionando altro può firmarsi come vuole...tanto che per dimpostrare la debolezza di questo sistema ho firmato un messaggio "irtimid" dicendo che lui per l'appunto si fosse comprato una bambola. Non è vero. O almeno non ancora :D.
    Propongo di loggarsi prima di postare...

    By Blogger Framomo86, at 1:51 AM, febbraio 12, 2007  

  • ops ho postato 2 volte :P

    By Blogger Framomo86, at 1:52 AM, febbraio 12, 2007  

  • veramente hai postato volte... meglio! così spodesto il record di tancredi...

    Cmq Newton sono io, Renzo carli invece no.
    E' troppo divertente sta storia dei nick, de paura!

    By Anonymous Anonimo, at 1:56 PM, febbraio 12, 2007  

  • mi sembra il caso di intervenire sul cruento dibattito in corso.

    sono stati individuati 3 punti, mi pronuncio su quelli:

    1) è vero, concordo con tancredi sul fatto che la differenza fra scienza psicologica e psicologia quotidiana è sfumata. questo perché la psicologia, come la sociologia e le altre scienze sociali, nasce da un'evoluzione dei metodi usati quotidianamente per far fronte ai più svariati problemi; e anche perché la competenza psicologica è presente in ogni individuo o gruppo, è potenzialmente sviluppabile, da questo punto di vista non c'è differenza tra tecnico e profano (e non a caso non accettiamo funzioni sostitutive, propendiamo invece per le integrative).
    ma allora dove sta la differenza tra tecnico e profano? la differenza sta nella conoscenza e nell'utilizzo, quale riferimento, di uno specifico modello teorico-applicativo. quindi, come dice antonello, non possiamo fare come ci pare con la scusa che la psicologia clinica è vicina al senso comune; siamo tenuti a dichiarare un'ottica scientifica, e a ricondurre a questa le nostre ipotesi e i nostri interventi.

    2) suona abbastanza semplice accettare che, in un esame di analisi della domanda, non si faccia terapia, ma analisi della domanda, appunto.
    ma vedo la questione leggermente più complessa: nel momento in cui dichiari di essere psicoterapeuta e lavori in un contesto coerente con questa dicitura, non puoi fingere di non esserlo; devi tener conto che, oltre all'analisi della domanda, fai "anche" psicoterapia: i modelli devono allora essere integrabili, gli obiettivi compatibili. l'analisi della domanda tiene conto di questo, ad esempio quando, nella teoria, si parla dell'orientamento al cliente e si afferma che esso "è un modo per impostare anche il lavoro psicoterapeutico", un modo evidentemente alternativo rispetto alla correzione del deficit. io sono d'accordo sul fatto che sia utile porsi il problema di accogliere nel modo più opportuno la domanda, e quindi stabilire un'"alleanza terapeutica", insomma una base minima di fiducia che renda possibile fare un lavoro insieme. resta il fatto che buttarsi a capofitto in una terapia è un agito, bisogna giustificare teoricamente la decisione di intraprendere la terapia o meno, e concordare degli obiettivi, costruire una domanda anziché saltarla.

    3) l'ottica deterministica (e individualistica) sembra emergere da diversi spunti: sia quello di tancredi sul comportamento drogante, inteso come causato da qualcosa; sia nello spunto di dimitri, quando parla della droga quale risposta a uno stimolo, un evento passato, come se un fatto possa causare un comportamento per reazione, senza passare per una costruzione simbolico-emozionale della realtà.
    io quoto la tossicodipendenza come fenomeno sociale, come modalità di costruire un rapporto.. non la vedo come un comportamento individuale quanto come l'appartenenza al branco dei tossici, con tutti i risvolti comportamentali ma anche relazionali, di significati, che quest'appartenza comporta.

    Buon proseguimento e buona collusione

    By Anonymous Anonimo, at 1:58 PM, febbraio 12, 2007  

  • io sottoscrivo in pieno tutto quello che ha detto quello nato il giorno prima di renzo carli, che comunque - va precisato - è nato quarantaquattro anni dopo!

    By Blogger SANTO SUBITO, at 2:01 PM, febbraio 12, 2007  

  • Caro amico nato 43 anni, 11 mesi e 29 giorni dopo Carli
    credo che dobbiamo stare molto attenti alle implicazioni delle affermazioni che facciamo: in un universo di sfumature qual'è quello della psicologia, la precisione è imprescindibile!

    1) il fatto che la distinzione tra teorie psicologiche e quelle popolari sia sfumata, confusa(cum-fusa) a mio modo di vedere è un motivo in più per approfondire, studiare e cercare di comprendere appieno quelle sottili distinzioni. Voglio dire: i due tipi di teorie possono essere poco distinte (e poco distinguibili dal profano) ma non indistinte (e noi non siamo profani)!!
    Un'aspirante psicologo dovrebbe fare di tutto per riuscire ad individuare queste differenze, non creto approfittare della confusione per
    a) sollevarsi dalla responsabilità di acquisire una competenza;
    b) agire le proprie convinzioni acriticamente (imponendo così il proprio modello del mondo ai clienti).

    2) c'è una bella differenza tra dire "analisi della domanda e poi eventualmente terapia" e partire già dal presupposto che la terapia sia il passo necessario di cui consiste l'intervento dello psicologo (così come si aspetta il drogato/drogante).
    In più tu parli di uno psicologo che "fa l'analisi della domanda" ma che è ANCHE psicoterapeuta, ma questa è un aggiunta gratuita da parte tua e di Tancredi, dal momento che -lo ribadisco- noi ci stiamo formando per essere psicologi clinici ed il fatto di associare psicologia clinica con psicoterapia è una vostra fantasia agita (forse avete già deciso che farete anche gli psicoterapeuti).
    Nell'analisi di Tancredi questa distinzione non c'è, infatti lui accetta implicitamente di rispondere alla richiesta di psicoterapia con un offerta di psicoterapia.

    Il punto 3) non lo commento perchè concordo con quello che hai scritto, mi piacerebbe però sentire cosa ne pensano gli altri lettori.

    By Blogger Francesco, at 3:54 PM, febbraio 12, 2007  

  • In merito alla diatriba sulla differenza tra psicologia clinica e psicoterapia vorrei dire alcune cose.

    Ha ragione francesco quando dice che noi ci stiamo formando per diventare psicologi clinici e non psicoterapeuti, tanto meno psicoanalisti.
    Ma qual'è la differenza sostanziale tra psicologia clinica e psicoterapia?
    Premesso che i 2 termini apparentemente possono considerasi equivalenti, visto che i termini clinica e terapia evocano allo stesso modo una dimensione di cura e di liberazione di un qualche disagio, e presuppongono l'esistenza di alemeno 2 figure, lo psicologo e il paziente-cliente; dicevo a parte questo per noi addetti ai lavori probabilmente qualche differenza c'è. Ma è chiaro che noi psicologi clinici checchè ne dica carli ( che non serviamo per aiutare la gente e per curarla) dobbiamo ricordarci di quel mandato sociale che ha alimentato l'istituzione e della psicologia e dell'albo degli psicologi, in altre parole se nessuno avesse bisogno di "aiuto" psicologico, la figura stessa dello psicologo non avrebbe senso. E ricordo bene la provocazione di Carli"la gente va dallo psicologo perchè lo psicolo esiste". Ma ciò ke lo psicologo è coincide con ciò che lo psicologio socialmente è. E ciò che è socialmente coincide con ciò che simbolicamente a livello emozionale rappresenta e null'altro. E cioè una persona in grado di curare.

    Tornando al discorso di prima scondo me si tratta di 2 impostazioni simili in qualche modo complementari ma che enfatizzano 2 aspetti diversi.
    Se ci immaginiamo un attimo ad esempio come possano operare effetivamente il Carli e il Grasso, alla luce anche di quello che si è visto a lezione, potremmo ipotizzare che:
    a) la psicologia clinica secondo l'impostazione dell'analisi della domanda carliana "spera" di sciogliere i nodi più problematici del disagio "soltanto" indirizzando il cliente a sospendere i suoi agiti emozionali e "pensarci su" per eventualmente ripristinare la collusione fallita o crearne un'altra. E' in altre parole "ottimisticamente" convinta che sarebbe (è) sufficiente analizzare la domanda correttamente, non colludere con essa, e disvelare le fantasie e le emozioni agite e rifletterci sopra.
    L'impostazione di Grasso secondo quello che ho percepito parte dall'idea più "pessimistica" e meno elegante se vogliamo che, sì daccordo, è necessario prestare molta attenzione alla domanda posta dal cliente, bisogna anche rifletterci accuratamente, ma lascia avanzare timidamente l'idea che ciò spesso non è sufficiente a soddisfare i bisogni del cliente. E che occorre quindi "andare oltre" e in un certo senso "sporcarsi le mani" impantanandosi magari nelle questioni più misere e banali dell'esistenza quotidiana di chi abbiamo di fronte.
    Secondo me le 2 impostazioni riflettono abbastanza bene le due diverse personalità. Il più carismatico "raffinato"e spocchiso Carli e il più umile paziente e popolano Grasso...

    By Blogger Framomo86, at 5:16 PM, febbraio 12, 2007  

  • In risposta a Bob, proprio sul punto 3:

    "3) l'ottica deterministica (e individualistica) sembra emergere da diversi spunti: sia quello di tancredi sul comportamento drogante, inteso come causato da qualcosa; sia nello spunto di dimitri, quando parla della droga quale risposta a uno stimolo, un evento passato, come se un fatto possa causare un comportamento per reazione, senza passare per una costruzione simbolico-emozionale della realtà.
    io quoto la tossicodipendenza come fenomeno sociale, come modalità di costruire un rapporto.. non la vedo come un comportamento individuale quanto come l'appartenenza al branco dei tossici, con tutti i risvolti comportamentali ma anche relazionali, di significati, che quest'appartenza comporta."

    A lezione era nata una mezza diatriba tra me e grasso sul causa effetto...
    Da parte mia dire che il drogarsi è una risposta ad "una situazione" non significa dire che dalla situazione X nasce il fenomeno droga.
    Dico che il fenomeno droga trova probabilemte le sue origini come proposta comunicativa all'interno di una relazione, magari come risposta ad un fallimento collusivo.
    Perchè questo dovrebbe implicare un "senza passare per una costruzione simbolico-emozionale della realtà"?
    Il fatto che non ci sia un causa effetto lineare non esclude comunque rapporti di tipo causale.
    Poi non è da escluedersi che la droga sia anche legata agli altri contesti sociali cui l'individuo del nostro caso partecipa, ciononostante mi pare riduttivo dir che la droga è solo apparteneza..
    Mentre il primo consumo può dirsi frutto della ricerca di appartenenza, non si può ignorare che le sostanze stupefacenti hanno una serie di effetti sul fisico del soggetto (dipendenza sul lungo periodo, euforia, flashiosità e altre bellezze del genere nella cogenza del drogarsi)

    Quindi Bob, mi aspetto una analisi più ragionata del fenomeno droga da parte tua.. possibile che fuori dai processi collusivi perdi tutti i tuoi bei neuroncini?
    Attento a non carlizzarti troppo.. elasticità bob, elasticità...

    By Anonymous Anonimo, at 6:08 PM, febbraio 12, 2007  

  • Caro autopoietico,
    mai soprannome fu più azzeccato: hai fatto tutto tu!

    1)
    Qui sostituisci di gran lena la realtà esterna con quella tua interna, ci vedi quello che ti pare e piace: voglio dire che la tua modalità predicatrice deve rivolgersi, necessariamente, a qualcuno che non è d'accordo, che la pensa diversamente, per potergli controbattere la tua visione e pignoleggiare. E forse è proprio questo che ti spinge a "forzare" l'altro in una posizione di disaccordo dalla tua, a mettergli quest'etichetta, per poter così esprimere il tuo disaccordo. Eppure non mi pare opportuno farmi una predica (era tale perché ti rivolgevi a me e mi spiegavi come stanno le cose) per cercare di convincermi di cose che ho già detto. Capisco che magari è una tecnica da processo di Biscardi per alzare la voce e di conseguenza l'audience, forse con Tancredi può aver funzionato (anche se a 'sto giro mi è parso di no), ma con me non attacca!
    Comunque, ribadisco e cerco di precisare: il pensiero emozionato è una competenza accessibile tanto al tecnico quando al profano. Senza distinzioni di sorta. La differenza sta nel metodo con cui tale competenza viene perseguita, nella teoria in cui tale competenza è situata, negli obiettivi di tale acquisizione, ed è in questi ambiti che lo psicologo è tenuto continuamente a essere critico, a differenziarsi.

    2) Non ho mai parlato di "prima analisi della domanda" e "poi terapia", questo sì che sarebbe un errore da dilettante! (mai sentito parlare di isolamento diagnostico?) Ho parlato di un'identità professionale che integri l'approccio metodologico noto come "analisi della domanda" con l'approccio psicoterapeutico. O magari, mettendola su un piano diverso, che integri tratti di personalità boriosi/carliani con tratti di personalità pacati/grassiani, come dice er trichecco (a proposito, ho visto i risultati di intervista e questionario, buoni per te! chissà se avete scommesso anche stavolta...).
    Riguardo al caso, parlo di uno "psicoterapeuta" (non è un'aggiunta gratuita... piuttosto, voler far finta che non lo sia, questa sì che è una sottrazione gratuita!) perché in quel contesto ha quella funzione. Il nostro amico tossico va dallo psicoterapeuta, non da qualcun altro. Gli hanno detto che la psicoterapia fa bene, lui cerca uno psicoterapeuta e ci va. Sulla porta di chi lo riceve, c'è scritto psicoterapeuta. E' irrealistico e inopportuno volerlo vedere come uno psicologo clinico e basta. Chi è quel demente che farebbe una scuola di specializzazione in psicoterapia (lo psicoterapeuta del caso clinico, per essere tale, ha fatto una scuola di specializzazione) solo per poter poi ingannare i suoi pazienti, aspettandoli al varco e sbeffeggiandoli dicendo "mi dispiace, io sono uno psicologo clinico, ti ho preso per il culo, o ti ci sei preso tu". Questo non vuol dire che poi uno psicoterapeuta (ribadisco, di psicoterapeuta si tratta) debba imbarcarsi in una terapia SENZA considerare (contemporaneamente e non prima..) che significato ha richiedere una terapia, in quel modo, in quel contesto, e senza analizzare le relative fantasie, insomma senza costruire una committenza (questo è il modo di impostare il lavoro psicoterapeutico in modo integrato con l'analisi della domanda) e vedere se la cosa può farsi o meno, ed eventualmente se è opportuno fare altro. Il problema della scelta va però affrontato, non glissato dicendo "io sono uno psicologo clinico e della psicoterapia me ne lavo le mani". Questo a prescindere da cosa uno voglia fare dopo il corso di laurea. Non carlizziamoci troppo caro autopoietico.. ci vuole elasticità!

    By Blogger SANTO SUBITO, at 9:22 PM, febbraio 12, 2007  

  • Rispondo a Irtimid a proposito del punto 3.

    3) Nella tua proposta di soluzione, nonché nel tuo ultimo commento, parli della tossicodipendenza come risposta a un evento, senza alcuna "analisi ragionata", come dici tu. Dici solo questo, e poi parli d'altro. Non spendi una parola per indagare gli aspetti di costruzione simbolico-emozionale, e questo impoverisce la tua soluzione, poiché c'è poca relazione tra quello che dici all'inizio della stessa, e quello che dici dopo (le linee guida per l'intervento): isolamento diagnostico bello e buono!

    Riguardo la mia analisi: ho parlato chiaramente di tossicodipendenza come fenomeno complesso (ho parlato di risvolti relazionali ma anche comportamentali, ho parlato del ripiegare in un mondo fantastico, flashante, ho parlato della difficoltà di mettersi a pensare, in tali situazione.. non l'hai letto? e allora se non leggi, che critica pretendi di fare? evidentemente parli a sproposito!). Ma, come psicologo clinico, posso intervenire sugli aspetti emozionali, relazionali, collusivi: questa è la competenza alla quale mi sto formando, questa è la competenza per la quale vieni valutato all'esame da cui hai estrapolato il caso, ricordi? Quindi, dobbiamo tenere conto della multidimensionalità del fenomeno tossicodipendenza, per dirla nei termini della psicologia di comunità, ma come psicologi clinici siamo tenuti a intervenire sul piano emozionale: è proprio qui che le tue ipotesi sembrano carenti.

    By Blogger SANTO SUBITO, at 9:35 PM, febbraio 12, 2007  

  • attenzione..il dibattito si arroventa..WOW

    By Anonymous Anonimo, at 10:09 PM, febbraio 12, 2007  

  • A dire il vero fu MONTESARCHIO a dire "prima smetti di drogarti poi vieni da me"...

    By Anonymous Anonimo, at 1:10 PM, febbraio 13, 2007  

  • attenzione: se il faggioano ha ragione scatta l'inculatura per molti :) ahahah

    By Anonymous Anonimo, at 2:15 PM, febbraio 13, 2007  

  • per cienciorob:
    ho l'impressione che ti sia perso in un bicchiere di wasp sting:

    1) il punto che volevo sottoporre all'attenzione non è quanto le teorie competenti siano assimilabili a quelle del profano, bensì riflettere sul fatto se lo psicologo abbia il diritto di usare "tecniche" che derivano dalla sua esperienza di profano (tecniche che si pensa possano funzionare, tecniche apprese per sentito dire ecc.. vs tecniche pensate alla luce di una teoria coerente e collaudata). io credo che questo diritto lo psicoqualcosa non ce l'abbia!! e credo che sia fondamentale che ciascuno di noi sappia riconoscere quando sta cedendo alla tentazione di usare una di queste manovre e pittosto che agirla, sappia rifletterci su per poter offrire un servizio competente ai clienti. per quanto mi riguarda, tutto il resto sono belle parole che non servono ad un cazzo (se non a pararvi il culo quando non sapete che pesci pigliare).

    2) mi sembra interessante notare che nel commentare il punto 2 di quasta discussione ti dai tanto da fare per spiegarmi che lo psicologo del caso in questione non può che essere uno psicoterapeuta (anche se nessuno ancora ci ha confermato che nel caso proposto all'esame ci fosse davvero scritto "psicoterapeuta" sulla porta dello psicologo!!!) cmq, se di psicoterapeuta si trattò, allora hanno sbagliato a darvi i fogli, magari li hanno scambiati con quelli della scuola di specializzazione in psicoterapia, visto che non avrebbe senso proporre a studenti di psicologia un esame di psicoterapia. io credo piuttosto che nel compito ci fosse scritto psicologo e che noi studenti, qualora avessimo ritenuto opportuno un percorso di tipo psicoterapeutico, avremmo dovuto specificarlo e procedere ad un invio verso uno psicoterapeuta.
    dico questo anche alla luce del fatto che (e qui si spiega perchè ho iniziato dicendo che mi sembra interessante la tua insistenza) quando rispondi a dimitri non fai che insistere sul fatto che agisci da psicologo clinico e che quindi DEVI trattare le relazioni ecc.. devo ammettere che la tua posizione non è chiarissima ma conoscendoti non credo che non ti sia accorto di contraddirti, perciò ti va di spiegarti meglio??

    ps: voglio aggiungere che uno psicoterapeuta può essere anche psicologo clinico ma fottersene delle relazioni ecc..se il modello di psicoterapia cui si ispira non prevede questo tipo di attenzione e vincolo, ed è proprio per questo che mi sembra una contraddizione quello che hai detto.

    By Anonymous Anonimo, at 2:32 PM, febbraio 13, 2007  

  • no no, il faggiano si sbaglia!!
    quindi l'inculatura è solo per lui!

    By Anonymous Anonimo, at 2:33 PM, febbraio 13, 2007  

  • 44.... :D

    By Anonymous Anonimo, at 6:52 PM, febbraio 13, 2007  

  • io direi 43.. perché checco ha postato due volte lo stesso messaggio.. quindi uno non si conta..

    By Blogger SANTO SUBITO, at 1:23 AM, febbraio 14, 2007  

  • cmq con quello mio appena scritto fanno 44

    By Blogger SANTO SUBITO, at 1:23 AM, febbraio 14, 2007  

  • e con l'ultimo che ho scritto 45

    By Blogger SANTO SUBITO, at 1:23 AM, febbraio 14, 2007  

  • e via dicendo :-P

    By Blogger SANTO SUBITO, at 1:23 AM, febbraio 14, 2007  

  • Se è vera l'ipotesi di TANCREDI, che afferma "Il post di irtimid era centrato sul caso clinico per chiederne l'analisi, il mio è centrato sulla mia analisi proposta e su una disquisizione che non c'entra niente col caso del drogato.
    Ergo, è un post completamente diverso da quello di irtimid, con una forma e con argomenti diversi!"
    allora io ho sbagliato post, mi scuso e mi correggo subito...

    By Blogger Francesco, at 11:16 AM, febbraio 19, 2007  

  • tancredi, dici:
    "E’ vero, l’ho agita, perché il caso proponeva una richiesta di psicoterapia, fatta in una contesto che proponeva un setting di una seduta psicoterapeutica."
    secondo me ti confondi:
    non è il caso che ti propone una richiesta di psicoterapia!! è il CLIENTE che te la propone! e tu ti lasci invischiare nella sua richiesta solo perchè ti sembra plausibile!! è come il caso di una madre che si preoccupa perchè il figlio vuole lasciare la scuola a 12 anni e chiede che venga aiutato a ritrovare la retta via: la tentazione di dire che la signora ha ragione è forte perchè leggitimata dalle convenzioni e dalle aspettative sociali, ma è proprio lì che lo psicologo deve stare attento, anche perchè lo psicologo è pure lui una persona che partecipa allo stesso contesto della madre!!!
    non facciamoci fottere dalle apparenze!!!

    un'altra cosa: nessuno ha ancora detto se nel compito c era scritto che il drogato va da uno psicoterapeuta o se va da uno psicologo chiedendo psicoterapia, è qui secondo me che c'è la vera differenza.

    By Anonymous Anonimo, at 11:17 AM, febbraio 19, 2007  

  • ehi KEKKO, cos'è tutto sto veleno??
    rileggiti bene i miei commenti, io non parlo di tecnicismo nè si un metodo da seguire passo passo...dico solo che parlando di psicologia è importante la precisione, visto che già di suo è un campo abbastanza vago..ci manca solo che quel poco che possiamo dire non lo esprimaiamo accuratamente perchè usiamo un linguaggio viziato!!
    resta il fatto che il tuo attacco è totalmente gratuito, ma come sai non sono il tipo che se la prende (sei fortunato:-)).
    cmunque sia, pubblico il mio commento al caso clinico (contento?).

    By Blogger Francesco, at 11:17 AM, febbraio 19, 2007  

  • ehmm...a proposito kekko..qualcuno ha cancellato il tuo commento al caso, l'ho cercato ma proprio non lo trovo, (tranne quello in cui dici che lo riempiresti di barbiturici)...dev'essere stato dimitri...è proprio un mattacchione!!!

    By Blogger Francesco, at 11:18 AM, febbraio 19, 2007  

  • A grande richiesta....ecco il mio commento al caso.

    Il caso in questione è particolarmente complesso anche perchè le dinamiche affrontate invitano esplicitamente ed intensamente alla collusione. Come sappiamo, ed in questo caso più che mai, lo psicologo deve porsi innanzitutto delle domande:
    - Qual è la domanda che questa persona mi sta portando?
    - Cosa mi sta chiedendo a livello manifesto e a livello latente?
    - Qual è la proposta collusiva che mi sta invitando ad accettare?
    - In che ruolo sta cercando di pormi?
    Se guardiamo il caso da questo punto di vista notiamo che ciò che la persona mi sta chiedendo ha poco a che fare con lo smettere di drogarsi! Non è venuto da me dicendo “Voglio smettere con la droga” ma piuttosto “Ho paura che mi scoprano ed ho paura delle conseguenze di quest’eventualità, per cui se lei mi fa smettere anche le preoccupazioni svaniranno” mi sta chiedendo di far svanire le preoccupazioni. La domanda si esplicita nella pretesa che io faccia svanire le sue paure. Siamo di fronte ad una persona che gioca un gioco relazionale del tipo: “Faccio in modo di essere preoccupato per le conseguenze dei miei comportamenti” ma al contempo (nel qui e ora della relazione con me) mi dice “sono qui xchè ho paura delle implicazioni relazionali del mio comportamento, fosse x me non smetterei di drogarmi”. Così non c’è una motivazione INTRINSECA per smettere di drogarsi. Il “drogato” ci sta parlando non della droga ma di relazioni con il contesto di appartenenza infatti se non si fosse insinuata in lui l’idea di poter essere sgamato avrebbe continuato imperterrito. Se io psicologo avessi la tecnica perfetta per farlo smettere con la droga e la usassi il giovane non farebbe altro che trovare un altro comportamento tramite cui ripristinare lo status quo: un comportamento provocativo/autodistruttivo o cmq un comportamento che lo metterebbe nella posizione di doversi preoccupare per le conseguenze che il comportamento stesso può avere all’interno del suo contesto. Questo è il punto. Questo è ciò di cui il giovane ci parla. La richiesta di smettere con la droga è una richiesta subdola xchè catalizza tutta l’attenzione sul problema droga evitando così la possibilità di affrontare un discorso sulla struttura delle relazioni e del contesto all’interno di cui il comportamento (drogarsi) è agito (e di cui tale comportamento è solo una parte). Io credo che il punto da trattare sia non tanto la droga (proporsi di farlo smettere di drogarsi, visti i presupposti, è un obiettivo votato al fallimento, fallimento che rinforzerebbe la posizione del ragazzo e che in più sarebbe per lui una sorta di assoluzione: “neanche lo psicologo mi ha potuto aiutare, cos’altro posso fare? non è certo colpa mia”) quanto la dinamica relazionale che si è stabilita, in particolare il fatto che il ragazzo vive un’identità camuffata e il suo preoccuparsi è ciò che tiene in piedi questa struttura. Il giovane va dallo psicologo, ha un problema (le relazioni di cui sopra) ma lo camuffa (il problema della droga). L’ipotesi è che il ragazzo viva delle relazioni in cui sente di doversi camuffare.
    Detto questo sappiamo bene come in genere una persona chieda l’aiuto dello psicologo in seguito ad un “fallimento della collusione”; sappiamo anche che il fallimento della collusione può avvenire o perché cambia qualche elemento del contesto o perché cambia il modo di simbolizzare emozionalmente il contesto da parte di qualcuno che a quel contesto partecipa. Io credo che il ragazzo sia passato da una simbolizzazione del tipo “faccio il cazzo che mi apre tanto non se ne accorgono xchè io sono in gamba” ad una del tipo “se se ne accorgono sono cazzi da cagare!”. Il fatto che sia avvenuto questo cambiamento dimostra che il ragazzo ha allentato, anche se di poco, la morsa del delirio in cui era preso e di avere la capacità di confrontarsi in modo più realistico con la domanda di realtà. Sappiamo bene come uno degli obiettivi di sviluppo di un intervento di tipo psicologico-clinico sia quello di incrementare la categorizzazione del reale. Ora, il ragazzo, venendo da noi e dimostrando che si è aperto un varco verso la possibilità di imparare a gestire meglio il contatto con la realtà ci offre la possibilità di lavorare in questa direzione. Il lavoro dello psicologo diventa allora quello di partire da qui, dallo squarcio che si è aperto nella dimensione delirante e restituire al giovane quelle ipotesi sulle sue dinamiche affettive/relazionali – verificando così la possibilità di un pensiero su tali dinamiche – e proponendo un percorso che miri a dare un senso a tali dinamiche e nel contempo miri ad aumentare la capacità del ragazzo di categorizzazione del reale (del resto il giovane ha già dimostrato di essere in grado di confrontarsi con la domanda di realtà e di fare qualcosa in merito: venire da noi).
    Io credo che procedendo in questo modo sia possibile che, andando avanti con l’intervento, il ragazzo impari a gestire (e capire) in modi nuovi le dinamiche relazionali che intrattiene con il contesto in cui vive e così facendo verranno a mancare i presupposti per il comportamento autodistruttivo e così la motivazione a smettere di drogarsi potrebbe diventare intrinseca. Non dico che col nostro intervento ci siano molte probabilità che smetta automaticamente xchè mi rendo conto delle problematiche di dipendenza ecc. che non possono essere trascurate parlando di droga (d’altro canto ribadisco che smettere di drogarsi non è un obiettivo che compete ad un intervento psicologico-clinico). Qualora il ragazzo dovesse dichiararsi sinceramente motivato a smettere con la droga (non sussistendo più le dinamiche relazionali all’interno delle quali tale comportamento trovava un senso) potremmo proporre un invio presso professionisti che si occupo specificamente di questo problema. Tancredi dice – secondo me giustamente – che l’agito del giovane potrebbe essere troppo violento per permettere un pensiero su tale agito. Io credo che quest’ipotesi sia scongiurata dal cambiamento di simbolizzazione emozionale* avvenuta nel ragazzo. Se cmq in qualità di psicologo dovessi ritenere che sia il caso proporrei un invio presso strutture specializzate anticipatamente sin dalle prime sedute dell’intervento psicologico per portare avanti un percorso congiunto. In nessun caso proporrei un “intervento per smettere con la droga” senza un lavoro del tipo che ho proposto sopra.

    *il ragazzo dimostra la capacità, seppur rudimentale, di pensare su tanto rispetto alle relazioni (preoccupazione x i genitori) quanto rispetto alle regole condivise nel contesto di appartenenza (preoccupazione di finire in galera).

    By Blogger Francesco, at 11:18 AM, febbraio 19, 2007  

  • per BOB:
    il mio commento somiglia al tuo? non mi pare, comunque mi sembra un bel complimento!!imparo dal maestro...

    per KEKKO:
    aò prima mi accusi di attaccare senza pubblicare il mio resoconto, poi quando lo pubblico ti metti ad attaccarmi per i commenti???
    dicono che ad arrampicarsi sugli specchi prima o poi si scivola: continua così e scopriamo se è vero!!:-))
    scherzi a parte, ti dico che

    1) il mio linguaggio "tecnico" è dovuto solo al fatto che stiamo discutendo di un esame di analisi della domanda e di come applicarla, così ho usato i termini tipici di quella teoria in modo che tutti potessimo capire di cosa si parla, usando proprio il criterio che proponevo nei commenti precedenti: precisione e linguaggio condiviso. se preferisci te lo traduco dal carlese all'italiano (come ho fatto l'anno scorso per cenciotti, solo al contrario).

    2)quando parlavo di lacune e di formazione incompleta non era un attacco contro di voi, ma una denuncia...credo che questo sia un problema che coinvolge tutti noi, la facoltà ed il mondo della psicologia in genere. io ho detto come avrei svolto il compito d'esame, ma non dico che non ho dubbi..ce li ho eccome (purtroppo). in più, il fatto che la vera competenza psicologica sia difficile da acquisire non deve essere una scusa per agire "di testa propria" e mischiare psicologia con buon senso, magia e vissuti personali ecc..se avessi la risposta giusta alla domanda "come diventare psicologi competenti?" non me ne starei qui a punzecchiarvi, ti pare?
    leggendo i commenti a volte noto quelli che mi sembrano errori impliciti e mi limito a renderli più evidenti invitando gli altri a partecipare alla discussione nella speranza che da questa selva di spine venga fuori qualche rosa...tutto qui!!!

    By Anonymous Anonimo, at 11:19 AM, febbraio 19, 2007  

  • riguardo a questo caso abbiamo sentito tante proposte, io però vorrei aggiungere che secondo me il fatto di puntare alla soluzione di far smettere il tipo di drogarsi, oltre che colludere ha anche un altro effetto, di tipo più pragmatico...
    io credo che impostando il trattamento (psicoterapia, intervento, diciamo che per ora ce ne fottiamo della definizione e delle eventuali differenze) con l'obiettivo di far smettere una persona con la droga, rischiamo di creare una situazione in cui il focus diventa la lotta contro la droga, e così tutti gli argomenti ed eventuali altri problemi che potrebbere venir fuori, saranno sempre visti (tanto dal cliente quanto dallo psicoqualcosa) all'ombra della droga..es: risolvere i problemi di relazione con i genitori (è solo un esempio) PER RISOLVERE IL PROBLEMA DROGA, voglio dire: tutto diventa subordinato alla questione droga!!
    affrontare il caso con l'ottica che ho proposto io, credo abbia il vantaggio di salvaguardare l'importanza che i vari fattori rivestono (di per sè) per la persona, considerando il fatto che si droga come un ulteriore fattore nella sua situazione (un elemento -certo con la sua importanza e rilevanza -in quella particolare configurazione), invece che come IL FATTORE! io credo che agire in questi termini e con questi presupposti permetta di operare in modo molto completo nei confronti di quella persona, senza sottovalutare (nè sopravvalutare) nessun elemento, e senza porre un elemento sullo sfondo, evitando così che l'elemento x funga da filtro attraverso cui guardare gli altri elementi in gioco.
    forse nella "guerra dei modelli" l'analisi della domanda ha il vantaggio di permetterci di assumere una prospettiva del genere..

    By Blogger Francesco, at 11:19 AM, febbraio 19, 2007  

  • sto diventando bravo come il cenciooooooooo
    wooooowwwww
    grandisssiiiimooooooo

    By Anonymous Anonimo, at 11:20 AM, febbraio 19, 2007  

  • per il kekko:
    riflettici bene kekko, ispirarsi alle proprie sensazioni e sensibilità ecc.. suona bene, ok, dà un certo senso di autonomia e libertà, ma queste sensazioni da dove vengono? non vengono forse da ciò che hai imparato ed introiettato in pasato?
    derivano da teorie sull'uomo che ti sei costruito sulla base di ciò che hai appreso nel tempo, dalle tue esperienze e da quelle di altri!!
    il fatto che non riesci a rintraciare un unica origine per quelle teorie non significa che siano più valide di una teoria definita e conclusa in se stessa.
    forse ti sembrerà di essere più in gamba usando teorie che derivano "da te", ma è un ragionamento un pò ingenuo.
    ora, non si può dire che mi sia convertito all'analisi della domanda, dico però che
    1) l'attaccavo a priori senza conoscerla e mi sono ricreduto perchè trovo che alcuni dei presupposti dell' ADD siano validi al fine della formazione in psicologia
    2) non credo che sia una teoria esaustiva, nè credo che sia insegnata adeguatamente.
    inoltre penso che qualsiasi altra teoria ci avessero proposto sarebbe stata al centro di polemiche altrettanto accese.
    personalmente mi sono sempre dedicato a cercare di conoscere anche altri indirizzi nella psicologia, potresti farlo anche tu!
    detto questo, la tua idea della mia conversione è solo una tua impressione: abbiamo la possibilità di imparare questo modello, ed io voglio coglierla ed impararlo per bene..qusto è il mio approccio!
    tu, ovviamente, sei libero di rifiutarlo a priori e continuare per la tua strada...ma questa strada qual'è? e dove porta?

    By Blogger Francesco, at 11:21 AM, febbraio 19, 2007  

  • se i fatti non si adattano alla teoria, tanto peggio per i fatti!!

    By Anonymous Anonimo, at 11:21 AM, febbraio 19, 2007  

  • qui c'è qualcosa che non va...
    "L'altro giorno ho incontrato pascucci, gli ho detto che è un coglione" firmato tancredi ...
    ma io non ho scritto...
    :-O

    By Anonymous Anonimo, at 12:10 AM, febbraio 21, 2007  

  • ehehehehehehehehhe

    By Anonymous Anonimo, at 9:38 PM, febbraio 21, 2007  

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