Casa Nemorense

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venerdì, giugno 22, 2007

Questo post l'ho scritto 2 settimane fa, tancredi nella sua fame di commenti mi ha chiesto di posticipare la pubblicazione...
spero sia contento :)

Il record di commenti al post del caso postato da Saint Now è dovuto soprattutto alla diatriba instauratasi tra noi psicologi formandi (che mostriamo di amarci tanto) sul modo "giusto" di porsi di fronte a un caso clinico.
Le dopo lunghi mesi di lezioni siamo giunti un pò tutti ad avere le nostre idee sulla psicologia, sull'analisi della domanda, su ciò che forse andremo a fare un giorno come professionisti preparati in un settore specifico.
Nonostante la base teorica e tecnica teoricamente dispensate a tutti nello stesso modo, pare non esserci un grande accordo tra noi non solo sulle sfumature, ma proprio sulle questioni fondamentali relative alla teoria e alla prassi psicologica.
A mio avviso tutto ciò è dovuto sostanzialmente alla scarsa precisione delle teorie psicologiche (almeno dell'analisi della domanda), scarsa precisione che il kekko ama definire "fumosità".
Tale fumosità è comunque forse imprescindibile in un ottica come quella dell'analisi della domanda che si prefigge di eliminare o comunque minimizzare il grado di manipolatività dell'intervento psicologico.
Comunque, in una situazione del genere, mi sembra di poter individuare 2 tipologie di atteggiamento riguardo sè stessi e il proprio modo di operare in ambito psicologico:
Il primo atteggiamento è dato dall'eccessiva sicurezza nel promuovere le proprie intuizioni a verità assolute, ponendo come argomentazioni "ho preso 30, ho fatto la tesi con la sesto, sono dottore, ho frequentato e capito tutto".
Argomentazioni, è inutile dirlo, utili per gonfiare la propria autostima, ma del tutto inappropriate se si vuole promuovere una lettura di un fenomeno, dato che con quel fenomeno c'enttrano poco e niente. Molto dovertenti sempre a tal proposito quelle situazioni in cui ci si ritrova a controbattersi utilizzando citazioni da frammenti dei testi su cui ci siamo formati: si finisce per dimostrare solo che la teoria di riferimento è purtroppo largamente interpretabile e comunque non scomponibile in piccole asserzioni isolate dal contesto poichè in tal caso finisce per diventare affidabile quanto l'oroscopo.
Il secondo atteggiamento è dato invece dall'eccessiva criticità nei confronti derlla teoria che porta a sconfermarla tutta in forza dei limiti detti prima sfociando così nello scetticismo.. Nobile cosa lo scetticismo, ma se non posto a freno sfocia in una specie di nichilismo della conoscenza che ci lascia con in mano un pugno di mosche dopo aver magari versato sangue sui libri per 10 anni.

C'è quindi da trovare un punto di equlibrio tra scetticismo e determinismo da autostima, punto di equilibrio che deve essere forzatamente basato su ciò che abbiamo a disposizione.
A tal proposito, prima di lanciarci in inferenze sulla lettura del resoconto di un caso clinico (seppur basate su tutta la perizia metodologica che volete), mi piacerebbe avere del materiale a disposizione per valutare "in toto" questa benedetta analisi della domanda, ad esempio un bel video con una terapia completa (ovviamente a puntate), o comunque informazioni su come un intervento si sviluppa e si conclude. C0sì, tanto per vedere se le nostre belle inferenze vengono confermate o no, e se il nostro scetticismo è fondato o meno.
I medici si divertono a fare scommesse sulle diagnosi guardando doctor house, perchè non mandano in onda anche doctor Carli, o doctor Sesto?

martedì, giugno 19, 2007

L'unica differenza è il setting.

Chi ha detto che nel blog sappiamo solo criticare Carli? Spesso noi stessi diciamo che ha introdotto dei pensieri innovativi. Il suo stile provocatorio e destabilizzante, oltretutto, ha per l’ennesima volta dimostrato la sua efficacia, anche se in modo indiretto. Ogni volta che viene pubblicato il testo del suo esame sul blog da discutere, scoppia un casino pazzesco: discussioni, confronti, insulti, record di commenti. Sarò un cultore dell’erotismo della litigata, ma questi casini, oltre che divertenti, sono utili. Fra insulti e citazioni, un nuovo ospite neolaureato, pensando di stupirci con la sua erudizione, ha citato il prof Montesarchio e la sua visione del setting. Da tempo coltivavo l’idea di affrontare l’argomento e la citazione mi ha fatto pensare che sia arrivato il momento di tirarlo fuori, se non altro per cambiare argomento. Citando lo stesso Montesarchio ho scelto l’immagine, spero, sufficientemente provocatoria. In quanto la psicologia è una professione con una tecnica indubbiamente “debole”, se non inesistente e con basi epistemologiche fragili e non universalmente condivise, lo psicologo si ritrova a rischiare di diventare un professionista di serie B, se paragonato a ingegneri, architetti, medici o avvocati.
Certo, non dobbiamo scadere nel vittimismo, non possiamo dimenticare che, come ho già detto, la psicologia non è l’unica disciplina che ha problemi, anche una scienza “strong” come la fisica ha avuto numerosi sconvolgimenti epistemologici. Resta comunque il fatto che la professione di psicologo sia in una posizione delicata, vittima forse degli stereotipi più imprecisi che si possano avere su dei professionisti: per l’immaginario comune gli psicologi sono tutti strizzacervelli, psichiatri, psicoanalisti di orientamento freudiano, spesso semplicemente dei coglioni.
Che fare?
Se un ingegnere può fare affidamento alle sue conoscenze tecniche per erogare un servizio, a cosa può fare affidamento uno psicologo?
Al setting.
Questo è lo strumento, forse l’unico, che può utilizzare uno psicologo. Gli psicologi devono porre attenzione a tutti quegli elementi relazionali che sono ignorati dagli altri professionisti. Un bravo ingegnere sa progettare una diga; un buon architetto sa costruire un palazzo; un buon medico sa fare un’appendicectomia; un avvocato sa l’art.57 comma 1; un bravo psicologo, se ha accettato di prenderla in cura, è in grado accogliere nel suo studio una biondona da urlo ninfomane senza farsela e mandare a puttane la terapia. E il bello è che lo può fare senza il bisogno di essere un santo, provate a chiedere di fare la stessa cosa a un avvocato! Oltretutto, fuori dal setting terapeutico, lo psicologo non dovrà essere necessariamente così casto e quindi, se per caso incontrasse una donna simile che non gli chiede di prenderla in terapia, la può rimorchiare senza rimpianti. Ma allora qualcosa gli psicologi la sanno fare! All’interno del setting, oltre tutto, tutti gli elementi che ho detto prima come le differenze fra la professione psicologica e le altre, l’impossibilità di dispensare interventi tecnici, la mimesi del modello medico, invece di essere un ostacolo, diventano degli ottimi elementi da analizzare all’interno della relazione. Cerchiamo quindi di distinguere i buoni psicologi da quelli che non sanno fare il loro lavoro.
Nel blog, per esempio, a volte cazzeggiamo, a volte sfoghiamo i nostri agiti di studenti di psicologia frustrati, a volte cerchiamo di proporre argomenti di natura clinica, proponendo un setting che, secondo me, si avvicina o ha almeno intenzione di avvicinarsi a un setting clinico.
La competenza, per me, non sta solo nel mostrare i muscoli e nello snocciolare termini tecnici o citazioni, ma nell’individuare il setting, nel mantenerlo e nell'uscirne fuori quando necessario.
Un esempio di competenza psicologica, secondo me, starebbe nel capire quando in questo blog si propone cazzeggio, quando si cerca di affrontare tematiche psicologiche e quando le due cose si mischiano volutamente o per errore.
O, se vogliamo abbassare i nostri standard, basterebbe che le persone imparassero leggere bene quello che scrivono gli altri, prima di emettere sentenze perentorie ed appiattirne i contenuti, come succede col pensiero di alcuni prof (Carli incluso) e con le tematiche del blog. Cosa che molte persone che intervengono fra i commenti di questo blog non hanno imparato a fare.