Casa Nemorense

Roma: servizi e attività. Guida ai servizi e alle imprese di Roma, mangiare, dormire divertirsi a roma

venerdì, aprile 06, 2007

Andreotti "number nine... number nine..."


dal blog di Daniele Luttazzi:

“Anche a me risulta che Moro si sentisse scavalcato da Andreotti.”
Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi
(La Repubblica, 18 aprile 2001)

“Simili emozioni credo di averle vissute quando mi comunicarono il rapimento di Moro.”
Giulio Andreotti a proposito dell’attentato al WTC
(Sette, 20 settembre 2001)

“Sì, è vero. Gli piacevo molto. Ebbe per me un sincero innamoramento.”
Rosanna Fratello a proposito di Aldo Moro,
(il Messaggero, 8 marzo 2002)

***

Venga, onorevole”, disse ad Andreotti Prospero Gallinari con tono deciso. “Non vorrei proprio perdere tutta la notte. Devo tornare a casa da mia madre.” Nella sua figura massiccia di terrorista c’era qualcosa di irrisolto. La replica di Andreotti fu venata da una nota di sarcasmo:”Deve tornare da sua madre? Non sapevo che voi brigatisti ne aveste una, eh eh eh.

Gallinari arrossì imbarazzato e distolse lo sguardo. “Stronzo! “ pensò. Succedeva sempre così: siccome era alto e aveva un pomo d’Adamo importante, lo trattavano da tonto. Una volta ne aveva parlato anche con Morucci, il quale non aveva mancato di rassicurarlo. “Conosci il tuo lavoro, hai talento e capacità; dimentica le insicurezze e vai avanti,” gli aveva detto il suo capocolonna con enfasi.

Gallinari si sforzò di indurire il suo faccino grazioso, ma che si può ottenere quando si ha un nasino all’insù punteggiato di lentiggini e labbra grandi e morbide? Andreotti nemmeno le notò, le sue lacrime.

Attraverso un corridoio male illuminato raggiunsero la porta interna del garage. Gallinari l’aprì, manovrò un interruttore e Andreotti si trovò davanti alla Renault rossa.

Il cadavere di Aldo Moro era caldo. Gallinari si voltò verso Andreotti. Lo sguardo di questi, dapprima sostenuto e quasi solenne, si addolcì piano piano. Il volto gli si schiuse in un sorriso, i denti smaglianti ancora più bianchi in contrasto con la pelle, abbronzata dal sole di Sicilia. Gallinari gli indicò il bagno ampio e lo spogliatoio con il fare delperfetto padrone di casa. “C’è tutto quello che le può servire, onorevole. Si metta a suo agio e si diverta. La casa è una vera fortezza, i Servizi deviati: nessuno la disturberà. Domattina sarà qui Adriana. Valerio le telefonerà per sapere se le occorre qualcosa.” Andreotti non fece in tempo a ringraziare che già Gallinari era sparito: aveva fretta di andarsene e, molto semplicemente, se n’era andato. Nessun mistero da chiarire.

Andreotti rimase per un po’ così, come sospeso fra il sonno e la veglia in quel silenzio assoluto. Poi s’avvicinò alla Renault , ne aprì il portellone, rimosse dal cadavere la coperta color cammello che la Skorpion di Moretti aveva trasformato in un sacco di Burri, si tolse gli stivaletti neri e si distese accanto a Moro. Avvertiva il fluire del sangue nelle proprie vene, il distendersi dei muscoli, il battito del cuore. Che bella cosa, essere vivi!

Quel che Moro aveva da offrirgli gli piaceva molto. Eppure la sua vicinanza lo turbava. Premuto contro il cadavere di lui, ne sentiva tutta l’autorevolezza e l’attrattiva. La stoffa dell’abito, fragile barriera imposta dalla civiltà, non gli impediva di apprezzare il fascino di quel corpo maschile nodoso e rattrappito. Ciò che più lo colpiva era la sensazione sconvolgente di dolcezza da cui era invaso. Si sentiva come un raggio di sole su una nuvola d’oro.

Fece scorrere le mani lungo il viso di Moro e fu più eccitante che negare di conoscere i Salvo. Era un paragone piuttosto stravagante, ma fu il primo che gli venne in mente. Gli accarezzò la gola, gli si aggrappò al collo e si impadronì con forza della sua bocca. Un sospiro profondo gli scosse il petto. Fu preso da un trasporto indicibile, era come in trance. Le sue labbra e le sue mani esploravano in un lento, dolcissimo viaggio ogni piega del cadavere. Quando con impeto crescente le sue dita raggiunsero l’interno delle cosce di Moro per insinuarsi con desiderio nella calda intimità dei fori di proiettile, Andreotti avvertì che il presidente della DC -l'ex presidente- era ormai senza più alcuna difesa. Gli sbottonò la camicia e la scagliò lontano. Finalmente poeva vedere quel petto a cui aveva tanto spesso rivolto il pensiero: era ornato nel mezzo da grappoli di orifizi. Si sfilò la cintura, gli sorrise e sgusciò fuori dai pantaloni di lana estiva, spingendoli oltre i fianchi deformi. Moro era lì, la bocca incurvata come in una smorfia di delizia o in una muta domanda.

Andreotti l’abbracciò forte e l’attirò a sé, dando un gemito di piacere e insieme di protesta nel momento in cui il suo sesso duro s’insinuò prepotente nel terzo foro parasternale. Ci fu una fitta dolorosa, attutita da un piacere troppo intenso per essere misurato. Era da tanto che non provava una sensazione così violenta, che non desiderava qualcosa così disperatamente. Era un desiderio più complesso, più insistente di quanto avesse previsto. A ogni spinta, il suo desiderio cresceva, finché non divenne insopportabile. Un’ondata più forte di tutte l’avvolse, salì vertiginosamente e poi, contro il suo volere, si consumò. Andreotti cambiò foro e il suo corpo sembrava dire:”Mai, mai ti lascerò andare...” La loro comunione fisica era perfetta. Andreotti inarcò la schiena per aderire meglio all’orifizio pseudovaginale e cominciò a basculare la pelvi. Fece scivolare le mani giù per il corpo di lui, tirandoselo ancora più vicino. Sollevò di colpo la testa e rapidamente, quasi con brutalità, prese possesso della piccola cavità. L’intima unione dei corpi lo fece di nuovo tremare in un crescendo trascinante di piacere e passione. Gli carezzava i fianchi, sedotto dalle curve femminili del corpo di Moro. Gridò il suo godimento, i suoi occhi mandavano lampi. Quindi girò il corpo di Moro e senza indugio lo prese di nuovo, stavolta in un foro d’uscita. Gli sembrò di morire ed era una morte deliziosa. Gli si aggrappò alla spalle e si lasciò guidare dal ritmo potente del suo desiderio. Prima lentamente, poi sempre più veloce, fino all’esplosione dell’estasi. Diede un lungo sospiro e s’abbandonò svuotato contro la schiena di Moro. Si sentiva bene, assonnato, soddisfatto. L’emicrania era sparita.

Fu allora che accadde. Moro si scosse e appoggiandosi a un gomito rantolò:"Sei un’amante deliziosa, Rosanna. Mi darai tempo di conoscerti, vero? Non...non sparirai?" Un brivido percorse il corpo madido di Andreotti. Si raddrizzò con un sussulto, ponendo fine all’intimità. Sul volto gli guizzò un lampo di divertita malizia al vedere le pupille di Moro che si dilatavano.

L’indomani, Morucci telefonò ad Andreotti per sapere se la serata era stata di suo gradimento. “Il senatore è occupato”, gli rispose Vitalone, riattaccandogli in faccia.


Post:
A parte l'interesse che può scaturire riguardo la veridicità storica del sopra citato racconto, è interessante riflettere su una perversione sessuale così estrema come la necrofilia.
Il racconto è a tratti così disgustoso, eppure così umano...
Non ho potuto evitare di rimanere colpito... mi domando come e perchè si vengono a creare fenomeni del genere, e in che modo uno psicologo debba porsi di fronte ad un caso del genere.



giovedì, aprile 05, 2007

Per gli indignati e i bravi ragazzi.

Mettiamola così. Quando litigo mi rigenero e questo, penso sia chiaro ormai per tutti.
Nel post sulla Francescato c’era una frase mia volutamente provocatoria: “un intervento che dopo 3 anni, al massimo, non solo rende il cliente indipendente, ma lo mette nelle condizioni di aiutare altri enti al posto dello psicologo!”. Da queste due righe è partito il putiferio. La scelta di queste parole era stata spinta innanzitutto, per contrastare i contenuti schifosamente buonisti e banali del pensiero della Francescato. E, lo ammetto, avevo anche la speranza di attirare qualche attacco per aprire una discussione. E così è successo, mi sono divertito, lo confesso. Ripeto quello che ho detto nella discussione. Lo scopo di un intervento psicologico serio, è quello di rendere il cliente indipendente. Ciò che credo sia sbagliato è che il cliente possa sostituire lo psicologo. Noi facciamo 3 anni di triennale, la dobbiamo perlomeno integrare con una specialistica di 2, per non contare ulteriori aggiornamenti. Invece, questi clienti, dopo 3 anni di intervento possono fare le stesse identiche cose che facciamo noi. Affanculo la nostra formazione, in culo le tasse universitarie, come il tempo dedicato e le competenze maturate! Questo è grave per me. Vedo gli interventi della Francescato come l’ennesima banalizzazione della professione psicologica: un mondo in cui “siamo tutti psicologi”, in cui non conta avere una laurea, conta star bene insieme e dirsi tante belle cose. Non è in gioco la sola committenza. E’ in gioco pure la figura dello psicologo, i suoi scopi, le sue tecniche, il suo ruolo sociale. Lo psicologo così, diventa una figura intercambiabile con una persona con qualche conoscenza psicologica o con qualche volontario. Io la vedo così: se ci mettiamo sullo stesso piano del volontariato siamo fottuti, perché il volontariato non richiede pagamenti, noi sì. Se vogliamo smettere di chiedere i soldi e ci troviamo in un gruppo di volontariato, tanto vale rinunciare a definirci psicologi. Lo psicologo deve puntare a essere qualcosa di qualitativamente diverso dalle altre figure. Se non è giusto identificare lo psicologo con un medico, è sbagliato anche identificarlo con un operatore socio-sanitario e, a questo punto, è pure peggio, dato che penso onestamente che sia più prestigioso il medico. Questo mi ha fatto arrabbiare, la Francescato ci propone un passo indietro, non tanto per i guadagni persi, ma per una visione distorta e all’acqua di rose dello psicologo, secondo me addirittura più stereotipata di quella che lo confondeva con un medico. E infine, la cosa che mi fa imbestialire, è che questo hara-kiri professionale lo propone una persona che tanto non ha i problemi che avremo noi, perché è una professoressa affermata e col posto fisso, con tante belle credenziali e che sta sputtanando la psicologia pur di vendere i suoi cazzo di libri che, oltretutto, da brava donna, ci costringe a comprare.

lunedì, aprile 02, 2007

Sigmund Freud



Il principale ingrediente nelle foglie di coca, l'alcaloide cocaina, fu isolato in forma pura nel 1844. In Europa tuttavia se ne fece scarso uso fino al 1883, quando un medico dell'esercito tedesco, il Dr. Theodor Aschenbrandt,acquistò una fornitura di cocaina da una ditta farmaceutica di Merck e la inviò ai soldati della Bavaria, durante le manovre d'autunno. Il medico notò che essa produceva dei benefici effetti nella sopportazione della fatica.
Tra coloro che lessero dell'esperimento del Dr. Aschenbrandt vi fu Sigmund Freud, neurologo viennese, che aveva allora ventotto anni ed era ancora molto lontano da quella che sarebbe stata poi la sua fulminante carriera. A quel tempo Freud soffriva di depressione, fatica cronica ed altri sintomi nevrotici. Così scrisse alla fidanzata, Martha Bernays il 21 Aprile del 1884: "Ho letto della cocaina, il componente principale delle foglie di coca, che alcune tribù indiane masticano per riuscire a resistere alle privazioni e alle difficoltà". "Me ne sto procurando un po' per me e poi vorrei provarlo per curare le malattie cardiache e gli esaurimenti nervosi..." Dal biografo Ernest Jones sappiamo che Freud provò l'effetto di 50 milligrammi di cocaina, con l'impressione che effettivamente la sostanza funzionava benissimo nello scacciare il cattivo umore, facendo tornare l'allegria, dandogli l'impressione che la sensazione provata fosse tale per cui 'non si desidera avere alltro', il tutto senza togliere l'energia per l'esercizio fisico e il lavoro.
Freud divenne cocainomane e offrì la sostanza anche al suo amico e collega, il Dr. Ernst von Fleischl-Marxow, che soffriva di dolorosi disturbi al sistema nervoso (che poi gli furono fatali) e che per questo faceva uso di morfina. Freud prescrisse la cocaina anche ad un suo paziente che soffriva di catarro gastrico. Freud considerava la cocaina una "magica sostanza". Così scrisse alla fidanzata: "Se tutto va bene scriverò un saggio su questa sostanza, che mi aspetto avrà molto successo e troverà posto nelle terapie che oggi fanno uso di morfina. Ho anche altre speranze e progetti su questa cosa. Ne prendo piccolissime dosi per curare la depressione e le indigestioni".
Queste furono le sue conclusioni: "In poche parole, è solo ora che mi sento un vero dottore, dal momento che ho aiutato un paziente e spero di fare ancora di più. Se le cose andranno in questa direzione non avremo da preoccuparci sulla possibilità di poter stare insieme e stabilirci a Vienna".
Freud dette un po' di questa droga anche alla fidanzata, Martha, "per renderla più forte e per farle venire le guance di colore rosso" Secondo il Dr. Jones, Freud fece pressioni sugli amici e sui colleghi perché consumassero questa droga, sia per sé stessi, sia per i loro pazienti. Pare che ne dette anche alle sue sorelle. In una successiva lettera a Martha, così Freud descriveva la sua esperienza con la cocaina: "Nella mia ultima depressione ho fatto uso di cocaina e una piccola dose mi ha portato alle stelle in modo fantastico. Sto ora raccogliendo del materiale per scrivere un canto di preghiera a questa magica sostanza". Dal mese di Aprile 1884, in cui ebbe il primo contatto con la sostanza, a quello di Giugno dello stesso anno, Freud terminò il suo lavoro sulla cocaina, che fu pubblicato nel mese di luglio. Nella pubblicazione, scritta con un inconsueto entusiasmo per una trattazione scientifica, Freud inserì anche delle riflessioni di carattere religioso connesse all'utilizzo della sostanza e menzionò la saga mitica di Manco Capac, figlio del Dio-Sole, che aveva mandato questo dono agli dei per fortificarli, facendo loro superare la fame e i dispiaceri. Lodando con eloquenza le virtù del nuovo farmaco, egli affermava che la cocaina poteva essere usata come stimolante, come afrodisiaco, contro i disturbi dello stomaco, la cachessia, l'asma, i sintomi dolorosi che accompagnano nei morfinomani le crisi di astinenza della sostanza.
Gli effetti della cocaina sono così descritti da Freud: allegria, euforia stabile, che non è diversa da quella che prova una persona in buona salute... Si prova un aumento di autocontrollo e maggiore vitalità, capacità di lavorare... Il lavoro fisico e mentale viene svolto senza provare sensi di affaticamento... E questo senza avere gli effetti indesiderati che ad esempio procura l'alcool...
In conclusione, la cocaina per Freud era un ottimo rimedio per curare quella che allora si chiamava la 'neuroastenia', un concetto molto simile a quello che poi avrebbe assunto 'l'esaurimento nervoso'.
Alcune parti dello studio di Freud sulla cocaina come droga psicoattiva furono confermata dalla successiva ricerca. Nel 1885 un esperto tedesco di dipendenze da morfina che si chiamava Albrecht Erlenmeyer lanciò la prima serie di attacchi alla cocaina, come una sostanza che poteva dare dipendenza. Nel Gennaio 1886 un amico di Freud, Obersteiner, che all'inizio aveva apprezzato la cocaina, riportò che essa poteva dare dei disturbi simili a quelli del delirium tremens. Poi vi furono altri attacchi, ma Freud continuò ad assumere la sostanza fino al 1887, quando pubblicò uno scritto difensivo sulla cocaina. In realtà, subito dopo, cominciò a diminuirne l'uso, sia a livello personale che professionale. Malgrado ne avesse fatto uso per tre anni, non ebbe difficoltà a smettere, influenzato anche dalla sfortunata esperienza del Dr. von Fleischl-Marxow, il paziente col quale Freud aveva condiviso il primo grammo di cocaina.

Questi tre anni in cui Freud fece uso di cocaina, non furono del tutto irrilevanti nella sua vita:
nel Marzo 1885 Freud aveva presentato una domanda all'Università di Vienna per una borsa di studio, valida per un viaggio di sei mesi. In quel periodo Freud lavorava come ricercatore nel reparto di oftalmologia e dermatologia, studiando le radici e le connessioni del nervo acustico. Lo stesso mese superò l'esame orale per divenire docente e tenne una lezione 'di prova'. Il 18 Luglio ricevette la nomina di libero docente e poco tempo dopo seppe di aver vinto anche la borsa di studio, che decise di impiegare andando a Parigi, nell'Ospedale dove insegnava Charcot.
Si prese quindi una vacanza di sei settimane e andò a Wandsbeck, a trovare la fidanzata.
L'11 Ottobre partì per Parigi, che considerò al grande occasione della sua vita. Tornato da Parigi, prese un appartamento sulla Rathaustrasse e aprì il suo studio alla fine di aprile del 1886.
Il 13 settembre 1886, a Wandsbeck, Sigmund Freud si sposò finalmente con Martha Bernays, dopo un lunghissimo periodo di fidanzamento. Al ritorno a Vienna Freud si trasferì in un nuovo appartamento nel Kaiserliches Stiftungshaus, un grande edificio costruito per iniziativa dell'Imperatore Francesco Giuseppe I. Nel 1886 Freud presentò un rapporto sull'isteria maschile alla Gesellschaft der Arzte. Tale scritto fu accolto con incredulità e ostilità e Freud fu sfidato a presentare un caso di isteria maschile alla stessa società. Freud raccolse la sfida, il 26 Novembre dello stesso anno, ma l'accoglienza fu fredda e questo fu il punto di partenza dell'inimicizia fra Freud e il mondo medico viennese.
Fra l'altro, veniva accusato di aver scatenato sull'umanità quel 'terzo flagello' che era la cocainomania (gli altri due erano l'alcolismo e il morfinismo). Per questo nella ultima relazione sulla cocaina, del 1887, Freud cercò di giustificarsi: la cocaina, disse, è pericolosa solo per i morfinomani, ma si potevano ottenere splendidi risultati trattando i morfinomani con la cocaina durante lo stadio di privazione. E aggiunse: 'Non è forse superfluo notare che questa non è un'esperienza personale, ma un consiglio dato a qualcun altro'.

Ma vaffanculo!