Volevo continuare questo discorso solo in caso avessi ottenuto un voto decente all’esame di “Analisi della domanda.”. Ma sono troppo impaziente per aspettare e, in fin dai conti, penso che come giustamente ha detto qualcuno, non basta avere buoni voti per poter dire di essere un buono psicologo. Siamo tutti un po’ presi da questa storia del drogato e il mio intervento, tanto per cambiare, ha scatenato il putiferio (e ne sono fiero).
Tralasciando l’analisi neoemozionale, avevo detto che lo psicologo doveva dire al drogato di smettere prima di drogarsi e poi di tornare da lui, in modo da far cessare l’agito del drogarsi, troppo violento da potergli permettere di creare un pensiero sul suo disagio. Pensando che in questo modo lo psicologo avrebbe perso quasi sicuramente il paziente, ho ritenuto necessario precisare che lo psicologo doveva dire che c’era un solo elemento che non riguardava direttamente l’agito del paziente di drogarsi (la reazione dei genitori in caso di una sua incarcerazione), dimostrando così che, qualcosa era riuscito a ricavare un elemento utile, sul quale avrebbero lavorato insieme quando il paziente sarebbe tornato da lui. Io stesso ritengo che questo fosse troppo poco, ma erano le uniche cose che potevano essere fatte, secondo me: precisare l’impossibilità temporanea di creare un pensiero costruttivo sul disagio del paziente e cercare di conquistare la sua fiducia per farlo tornare nello studio.
Mi sono state mosse, essenzialmente due accuse: la prima è di aver colluso con il paziente, la seconda di aver agito un modello psicoterapeutico dimenticando il mio ruolo di psicologo clinico.
Collusione.
La parolina magica del corso. Siccome ho colluso, merito di essere processato dal Braccio Secolare dell’associazione degli psicologi e condannato al rogo o, in alternativa, a ricominciare con obbligo di frequenza le lezioni di Giovanni Pietro Lombardo.
Vorrei precisare che lo slogan “non colludere” è un’immonda e imprecisa riduzione.
Lo stesso Carli, in “Analisi della domanda”, dice che non basta “non colludere”.
“Costruzione della committenza, non vuol dire soltanto non colludere […] Significa far assumere, a chi propone la domanda, una committenza sul pensiero, piuttosto di una prescrizione ad agire fantasie collusive” (pag. 26)
Oppure: “la collusione […]serve, sia pur nella sua più primitiva manifestazione, a ridurre la polisemia. Senza questa riduzione […] precipiterebbe in uno stato di non esistenza.” (pag. 37)
O ancora “Analizzare la domanda […] trovare, assieme, una riorganizzazione della relazione collusiva che tenga conto del cambiamento contestuale.” (pag. 49)
Io ho colluso, è vero, ma ci sono modi e modi per colludere. Non ho colluso alla lettera alla domanda del cliente. E il fatto di non aver colluso direttamente, ha messo a rischio la committenza e ho cercato di fare in modo, nei limiti che pensavo di avere, di farlo tornare nello studio.
Nessuno non collude. Lo sapete chi non collude o, perlomeno, crede di non farlo?
Lo psicoanalista vecchio stile, il tipo di psicoterapeuta che mi hanno accusato di voler essere, quello che uno viene da lui e, qualunque cosa dica di avere, gli dice di sdraiarsi sul lettino per farsi psicanalizzare.
E ora passiamo alla seconda accusa. Il fatto che io che io abbia agito un’analisi di tipo psicoterapeutico.
E’ vero, l’ho agita, perché il caso proponeva una richiesta di psicoterapia, fatta in una contesto che proponeva un setting di una seduta psicoterapeutica.
Forse ho sbagliato, ma partendo da un presupposto (forse) sbagliato, sono rimasto coerente con l’impostazione di questo corso di laurea: l’impostazione che dà importanza al contesto.
Questo è il vero caposaldo che regge questo corso di laurea.
La cosa più importante non è “non colludere”. L’importante è considerare il contesto all’interno del quale noi psicologi clinici dobbiamo costruirci la committenza.
Io ho considerato il contesto, mi sono regolato in base a esso non ho risposto letteralmente alla proposta collusiva del cliente, una domanda improponibile e acontestuale, proponendo una relazione diversa, che secondo me, era contestuale.
Ricordiamo il contesto socio-culturale in cui ci troviamo.
In questo contesto, lo psicologo è visto come un cretino, perché ci sono tanti psicologi o finti psicologi che screditano la psicologia; perché molti non sono disposti a pensare alle proprie emozioni, vogliono la pillolina dal rimedio facile o il consiglio da amica del cuore; perché ce una massa indefinita e inquantificabile di tredicenni ritardate che divorano riviste di oroscopi, pseudo-test di personalità, puntate di telenovela o reality show. L’unica concezione che i più hanno dello psicologo è quella che lo vede come psicoanalista freudiano, posta nel contesto scocio-culturale italiano, parliamo quindi di una pretenziosa repubblica delle banane che sta rischiando un ritorno al feudalismo, di un paese troppo schifosamente cattolico per poter accettare le teorie propugnate da un austriaco ateo, materialista, porco, morfinomane, tabagista, cocainomane e nevrotico come Freud (e tutti sappiamo che dire che Freud è uno psicologo è un’altra obbrobriosa e imprecisissima riduzione).
Non colludere, non rispondere alle domande che ci vengono poste è puro autolesionismo.
Non dico colludere alla lettera, non dico accettare dritto per dritto la proposta collusiva che il cliente ci propone al primo colloquio. Dico che però non possiamo proporre in blocco la nostra competenza senza accettare di raggiungere un compromesso, come se chiunque fosse disposto a venire in terapia per pensare alle proprie emozioni, perchè non è così.
Dimenticare il contesto, al livello sociale e a livello della relazione terapeutica, è il vero delitto in questo corso. Esiste una via di mezzo fra il rinchiudersi in una torre d’avorio e la prostituzione intellettuale. Non dobbiamo dimenticare che siamo psicologi clinici e che ci dobbiamo ancorare a una precisa teoria d’intervento, ma dobbiamo ricordarci anche che viviamo in un mondo dove, purtroppo, conta molto la forma e se rimaniamo fissati su questo purismo intellettuale, rifiutando di accettare che sono pochi quelli che hanno idea di cosa facciamo, non andremo da nessuna parte.