Ho chiesto uno sforzo alla scarsa materia grigia a mia disposizione sulla questione del vero/falso come uniche categorie funzionali alla disciplina psicologica, o perlomeno al setting.
Ho fatto qualche intervento in classe in proposito, risulatando forse a qualcuno un pò monotematico, (parlo solo di causa-effeto e di categorie).
La risposta di Carli è stata dapprima un "lei proietta" (una settimana e mezzo fa), mentre lunedì scorso il prof, avendo colto nel mio sguardo il disappunto mentre si affrontava l'argomento in classe, mi ha "accusato" di appartenere ad uno stereotipo di persona ( il signor "non mi va mai bene niente, quello che ha a ridire su tutto, quello del "piove: governo ladro", ecc...).
Ora soffermandoci un istante sulle due risposte di Carli non si può non notare come abbia usato due trucchetti che lui stesso ha definito a suo tempo come facenti parte della famiglia degli "atteggiamenti aggressivi": 1) accusare l'altro di stare proiettando i propri schemi sull'altro 2) Etichettare l'altro inserendolo in uno stereotipo e quindi sminuendolo.
Post Hoc, (anzi Posthock!, chiedo scusa) passiamo al mio punto di vista sulle categorie.
La mia obiezione è la seguente:
Possibile che basti usare la categoria dicotomica vero/falso per orientarsi in un setting? non esiste la possibilità che lo psicologo avendo eliminato per costrutto teorico determinate categorie finisca per usarle incosapevolmente?
Tale obiezione si basa su questa osservazione: la categoria dicotomica vero/falso ci permette un approccio gnoseologico alla realtà, ma non presuppone alcun tipo di azione.
Ad esempio, trovandoci di fronte ad una persona che presenta una certa sintomatologia ed appurato che i sintomi che la persona prova sono "veri" (o che sono "vere" le cause dei sintomi stessi) dovremo subito ricorrere ad altre categorie per impostare un'azione sul soggetto; dovremo decidere infatti se è
bene o male che questa persona continui a convivere con questi sintomi, ed agire di conseguenza.
Mi si può fare a questo punto l'obiezione della committenza: bisogna vedere che cosa chiede questa persona al terapeuta, bisogna analizzare la domanda.
Ma non ci troviamo a questo punto davanti ad un costrutto teorico che ci dice quale è la cosa
giusta da fare (analizzare la domanda)?
Non è quindi questo un caso in cui stiamo usando delle categorie senza accorgercene poichè sono nascoste all'interno del costrutto teorico a cui facciamo riferimento?